Maledetto Nikkor 16-85, mai scelta di lente fu più sbagliata! Non è vero, il mio fedele obiettivo è molto versatile e non merita tanta ignominia, ma oggi mentre mi trovavo a spasso per i monti abruzzesi lo avrei volentieri scambiato con un 70-300. Un doveroso passo indietro. Mi trovo a Roma in visita ai familiari e colgo l'occasione, vista la vicinanza, di tornare in Abruzzo dove sono stato anche lo scorso anno, rimanendo un po' deluso. Quest'anno la sorte mi ripagherà con gli interessi. Scelgo con cura uno dei trekking più noti e gettonati del Parco e parto alle 6,30 da Roma perché il mattino ha l'oro in bocca. Uno dei vantaggi della senilità galoppante è che ho sempre meno bisogno di dormire. Colazione a Civitella Alfedena e partenza, scarponi ai piedi, alle 9,09. Oggi percorrerò la Val di Rose, partendo dal già citato centro abitato, fino al rifugio di Forca Resuni per rientrare lungo la Valle Iannanghera. Un must fra i trek abruzzesi. Il percorso è a dir poco meraviglioso e noto da subito la differenza con il trek del 2013: il primo tratto è immerso in una faggeta molto più suggestiva e comodamente ombrosa, caratteristica che apprezzo molto visto che la giornata è afosa. Salgo in quota e mi ritrovo allo scoperto in un tratto di salita cosparso da ciottoli franati dalle montagne circostanti. Sono nel regno dei camosci, la leggendaria "Rupicapra pyrenaica", una sottospecie locale definita dagli etologi la più bella del mondo. Ovviamente non puoi andare a casa dei camosci e sperare di camminare comodamente in pianura, ammirandoli come se andassero in onda in tv durante una puntata di Quark. E questo non è ciò che cerco, voglio immergermi nel loro habitat per vederli muoversi in libertà e per fare questo sono disposto ad arrampicarmi su queste cime, proprio come farebbe un camoscio. Con la coda dell'occhio noto un movimento e scorgo un camoscio che si arrampica rapido sulla roccia ripida. Proseguo il mio cammino in salita continuando a cercare l'animale scomparso alla mia vista e, giunto proprio alla sua altezza, me lo ritrovo a circa 50 metri di distanza in linea d'aria, abbarbicato in un incavo terrazzato che gli assicura ombra e rifornimento d'erba. Ed è qui che inizio a maledire il mio obiettivo: mi servirebbe uno zoom e non me ne faccio nulla di un grandangolare. Resterà l'unico esemplare visto in giornata ma mi accontento: è la mia prima esperienza e anche solo un avvistamento è per me una grande emozione. Guadagno la cima Coppi odierna e giungo alla sella del Passo Cavuto a quota 2002 metri slm e mi si spalanca davanti agli occhi un panorama mozzafiato. Dopo alcuni scatti salgo ulteriormente di qualche metro fino ad un punto panoramico e noto, nella depressione sul versante sud, una piccola pozza in mezzo ad una radura verde. Nella radura ci sono numerosi punti neri e penso che possano essere rocce o cespugli, salvo poi notare che uno dei punti neri si muove. È allora che mi accorgo che "i punti neri" altro non sono che una mandria di circa 40 cinghiali! Proseguo il mio cammino verso il rifugio e cerco di avvicinarmi agli animali, senza successo: hanno notato la mia presenza e si tengono a debita distanza. È buffo che abbiano timore di me: se si rendessero conto della differenza favorevole a livello fisico, sarei io che dovrei fuggire a gambe levate. Nel branco ci sono molti cuccioli, ma anche alcuni esemplari di maschio di dimensioni ragguardevoli. In breve giungo al rifugio di Forca Resuni e resto letteralmente basito davanti allo spettacolo che mi ha riservato Madre Natura: dal versante da cui provengo, quello abruzzese, posso ammirare cime prevalentemente rocciose; a sud-ovest, versante laziale, una immensa distesa boschiva. Il piccolo rifugio, che deve avere conosciuto giorni migliori, si erge solitario a cavallo della forca sferzato dal vento, come una sentinella di guardia su un bastione. Sono completamente solo e sento solamente il fischio del vento; ammiro due uccelli che si inseguono sulla cima del monte Capraro. Le mie competenze ornitologiche sono troppo basilari perché io possa riconoscere i due volatili, posso solo dire che danzano in cielo con invidiabile eleganza. Dal versante laziale del parco soffia un vento forte e costante che spazza banchi di nuvole bianche. La montagna diventa improvvisamente mare: le foreste a valle sembrano un oceano verde, le nubi sono la schiuma delleonde, il vento sferza il mio viso e mi appoggio alla parete del rifugio come alla balaustra di una nave. La sensazione è profonda ed inquietante e guardo le nuvole venirmi incontro per inghiottirmi improvvisamente lasciandomi per alcuni secondi in un oblio fatto di silenzio e di nulla. E' un momento breve ma intenso che mi graffia il cuore lasciandovi inciso un ricordo che il tempo non potrà rubarmi e per descriverlo cerco parole che non riesco a trovare. Passate le nuvole devo ancora riprendermi ed ecco che Madre Natura mi regala un altro momento emotivo: sulla cima del Capraro il volatile che avevo ammirato volteggiare poco prima, ora fluttua immobile nel cielo. Non si tratta di un fenomeno inconsueto, l'ho già visto fare ai gabbiani in riva al mare, ma l'immobilità del pennuto è sorprendente e per un istante mi sembra di guardare una foto. Con un cuore colmo di gratitudine per i doni di cui ho potuto godere oggi, mi avvio in discesa verso Valle Risione e mentre volgo un ultimo sguardo verso il versante opposto del Boccanera noto dei punti rossicci in mezzoal verde. Maledetto 16-85 non riesco nemmeno a capire se si tratta di daini o cervi, anche se sono propenso a ritenere che si tratti di quest'ultimi in quanto non riesco a distinguere la caratteristica coda nera su manto bianco tipica dei daini. E' un bel branco composto da 13 esemplari. Incontrare questi animali in libertà è per me un'emozione e devo ancora riprendermi dalla sorpresa quando improvvisamente attraversa diagonalmente il sentiero lo stesso branco di cinghiali che avevo ammirato un'ora prima. Ora sono molto più vicini e scorrono davanti a me in singolare parata, con tanto di buffissimo cucciolo arrancante a chiudere il treno. Che meraviglia, mi sembra di essere a Jurassic Park. La Val Risone diventa Valle Iannanghera e l'ultimo lunghissimo tratto che chiude l'anello è una comoda passeggiata in una faggeta che avrebbe fatto la gioia di Tolkien. La magia del luogo è tale che se mi comparisse davanti un druido non ne sarei affatto stupito. A proposito di druidi, arrivato a Forca Resuni ho mangiato una barretta energetica e bevuto quasi un litro di "Go&fun" e l'effetto è quello della pozione di Asterix: secondo le guide l'anello richiede non meno di sei ore di percorrenza ma io arrivo all'auto in 5 ore e 23 minuti nonostante abbia perso almeno mezz'ora a fare foto, ammirare i numerosi animali e fermarmi a chiacchierare con una coppia incontrata sulla via del ritorno. Meriterei una squalifica per doping. Sono molte le cose che non dimenticherò fra quelle ammirate oggi, ma certamente un posto speciale nel mio cuore se lo è conquistato Forca Resuni. Non dimenticherò mai quel silenzio assordante, il vento sul viso, la maestà della montagna e quel cielo bianco di nuvole e di luce.
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Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
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