Quando Gabriele mi annuncia che la prossima uscita delle Piadine sarà alla Lama accetto con immediato entusiasmo. Per me è come tornare a casa. Al consueto meeting point, oltre a Gabriele e Paolo, non trovo Gianluca, bloccato dal mal di schiena, ma una gradita new entry: si unisce a noi Alessia, che ha conosciuto il gruppo online ma che prima di oggi non ha mai aderito a una escursione randagia. Anche lei, come me, è spinta dal desiderio di rivedere la foresta della Lama, ma soprattutto di confrontarsi con la salita del fosso degli Scalandrini, uno strappo selettivo dove molti uomini di fede l’hanno persa e dove molti atei l’hanno trovata. Il nostro leader si informa sull’apertura della strada forestale che porta al rifugio Fangacci, dal quale vogliamo iniziare l’anello. Purtroppo lo fa rivolgendosi all’ufficio e, soprattutto, alla persona sbagliata. La risposta che riceve è positiva, ma la nostra salita in auto si ferma proprio davanti alla sbarra chiusa. Decidiamo di parcheggiare e farci a piedi i 2 km che ci separano dal rifugio. Scopriremo poi che in realtà la sbarra, dopo il lungo periodo invernale, è stata rialzata pochi minuti dopo il nostro passaggio. Fortuna randagia. La prima tappa di giornata, abbandonata la strada e iniziato il sentiero all’Aia di Guerrino, è il tradizionale punto panoramico di Monte Penna, che oggi ci regala una vista spettacolare. A parte un forte vento persistente, la giornata è piacevolmente soleggiata ed il cielo quasi libero dalle nuvole. Dopo gli scatti rituali riguadagniamo il crinale puntando a Poggio Spillo e poi al Passo della Crocina. La faggeta ha fatto il cambio di stagione ed oggi veste la sua candida livrea primaverile. Gli alberi guardano il cielo terso e si ergono alti, dritti, lisci e bianchi come le colonne della valle dei templi. Cammino sulle foglie caduche come se calpestassi un pavimento consacrato, sopra di me un tetto di foglie e nuvole, sullo sfondo un affresco monocromo blu che passa dagli occhi per invadere pensieri e cuore. Sostiamo pochi minuti alla Bertesca prima di gettarci nel Fosso dei Forconali, la lunga e facile discesa che ci porterà in quello che personalmente considero lo scrigno delle Foreste Casentinesi, Sasso Fratino a parte. Cambia la vegetazione ed altri alberi prendono il posto dei faggi. La foresta perde la sua geometria ma non il suo fascino: ora le piante sono irregolari, contorte, si avvitano su loro stesse o si arrampicano sulle rocce, impedendo al sole di penetrare con le sue mille lame come accadeva a Poggio Spillo. È un gioco fatto di luce e buio, sono stelle mattutine che punteggiano un cielo diurno fatto di corteccia, ombre e chiome frondose. Alla nostra sinistra ci accompagna il canto del Fosso che con i suoi salti gioca fra i sassi producendo una polifonia che solo gli uccelli possono capire ed accompagnare. Siamo ospiti di un regno che non ci appartiene, viandanti non autorizzati che cercano di rubare un tesoro che sfugge fra le dita, siamo pirati rinnegati che si riempiono le tasche di oro e le svuotano di aria. Alla Lama vorremmo trovare ungulati al pascolo ma incontriamo solo hykers e fotografi. Consumiamo un pasto frugale sapendo che ancora ci attende la prova più ardua. Risaliamo controcorrente il Fosso della Lama e attacchiamo le prime rampe degli Scalandrini. Pochi metri di dislivello ed il fiato è già corto, ma nonostante la stanchezza non rinunciamo alla deviazione che ci permette di ammirare l’imponente cascata. Vinto dall’incanto non posso fare a meno di inginocchiarmi al cospetto della dea silvana, gesto frainteso dai miei miscredenti compagni di viaggio come una rovinosa caduta. Terminata la salita e vinti da una giornata tanto ammantata da sacralità e spiritualità animista decidiamo di salutare le foreste e ringraziare gli dei dei boschi. La nostra ara è il tavolino di un bar sul quale sacrifichiamo una focaccia calda con porcini e prosciutto al pepe. E le nostre anime si librano leggere.
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Grazie alla Repubblica più antica del mondo oggi ho un giorno libero ma non trovo nessuno a farmi compagnia, quindi parto alla volta di Bagno di Romagna con accanto, seduta sul sedile del passeggero, la mia solitudine. Nelle ultime due settimane l'inverno ha tardivamente timbrato il cartellino invadendo l'anteprima di primavera, rovesciando acqua e neve sulle montagne. Guardo un paio di webcam e decido di rimanere a quota bassa per evitare di rimanere impantanato fra fango e neve. Lasciata l'auto vicino al chiosco che ha sede al limitare del paese, dopo qualche tentennamento, trovo l'imbocco del 189. In poche rampe mi lascio alle spalle le case di Bagno e il rombo dell'E45. Il sentiero è una comodissima mulattiera che sale con costanza, senza troppi strappi spezza gambe, che mi porterà dai 600 metri di Bagno ai quasi 1100 del Monte Carpano. Si alternano tratti di bosco a punti panoramici sulla valle di Bagno. Sono i primi giorni di primavera, periodo nel quale i cervi maschi abbandonano le rivalità per riunirsi cameratiscamente come fossero al Bar Sport, ed io spero sempre di vederne. Non solo non vedrò cervi, ma nemmeno daini, capriolio o cinghiali. Nemmeno una lucertola. A metà salita incrocio l'unico escursionista di giornata che scende verso il paese un po' abbacchiato. "Sali fino in cima al monte?", mi chiede. "Sì, poi chiudero l'anello passando per la Beccia", rispondo. "Io non ce l'ho fatta, torno indietro." Si tratta di una anello classico, descritto come un giro abbastanza facile dalla mia guida, ma per me è una novità e queste parole mi spaventano un po'. Evidentemente il signore è poco allenato perché io invece salgo senza troppi problemi. Faccio fatica, sudo e vado al piccolo trotto, ma trovo l'arrampicata tutt'altro che impegnativa. Incontro ruderi di casali abbandonati dalla toponomastica improbabile: La Barca (in montagna?), Casa Nuova (100 anni fa, forse) e Prati (assenti). A un certo punto sento "odor di cima" e alla curva successiva vedo la sella del Carpanone. Si tratta di un punto panoramico bellissimo che permette di vedere sia la valle che mi sono lasciato alle spalle che quella di Badia. Distinguo chiaramente la Siepe dell'orso, Poggio Scali, la Bertesca e tutto il crinale dove corre lo 00. La mia guida propone la svolta a sinistra lungo il crinale, ma io devio a destra per salire sul monte Carpano e gettare uno sguardo all'orizzonte, dove posso ammirare anche la cima del Fumaiolo. Ripreso il crinale al Poggiaccio mi ributto nel bosco. È una lunga picchiata che passa per il podere della Becca, con tanto di ennesimo casale crollato. Alla fine della discesa trovo il Fosso della Becca e un'area barbecue di cui ignoravo l'esistenza (prendo nota) e poco dopo l'asfaltata che mi riporterà a Bagno. |
Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
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