Errare humanum est, perseverare autem diabolicum. Per la serie: non imparo mai dai miei errori. Mi era già capitato di guidare una masnada per i boschi e mi ero ripromesso di non farlo mai più, ma ci sono ricascato. Mi convince un caro amico fiorentino proponendomi un rendez-vous con il gruppo della chiesa di Rimini per unire romanticamente le due comunità in zona franca. Rapito dall'idea accetto il ruolo di guida montana e scelgo un punto di incontro classico a cavallo fra Romagna e Toscana, il Passo della Calla. Con grande entusiasmo ci ritroviamo al passo all'ora convenuta e facciamo una rituale foto di gruppo sotto il cartello che delimita il confine tra le due regioni. L'idea è quella di camminare lungo il crinale sullo 00 che segna il confine e sostare per il pic-nic a Poggio Scali, punto panoramico dal quale potremo ammirare le nostre terre ed unire le nostre due comunità. Questa è la teoria, la pratica è tutt'altra cosa. Come è mio stile fornisco informazioni dettagliate ai pastori dei due greggi nella speranza che tali informazioni vengano riportate con la stessa dovizia. Fiducia mal riposta. Dopo pochi metri capisco che c'è qualcosa che non va: persone scaricano dalle auto dei passeggini (!), altre sono abbigliate in modo improbabile con calzature da Grande Guerra, molti al posto dello zaino hanno buste della spesa e qualcuno si è portato pure un cestino di vimini con dentro delle pentole in alluminio (!!!). Al nostro confronto l'armata Brancaleone sembra un corpo scelto dell'Armata Rossa in parata con alta uniforme. Mi ero prodigato per spiegare che si trattava di 4km molto facili con un dislivello quasi risibile per una camminata nel bosco: solo 225 metri. Il problema è che non sapevo di interloquire con persone completamente all'oscuro di escursionismo e lettura di dati altimetrici. Dopo 10 metri il gruppo si sgrana con i giovani in fuga e le famigliole ancora intente a scaricare le auto. Passano 15 minuti e non esiste più il concetto di gruppo. Tento di ricompattare i ranghi ma al primo strappetto la banda del passeggino batte in ritirata tornando al parcheggio, non senza prima avermi dardeggiato con sguardo laser. Incomincia il triste del canto del "non ce l'avevi detto", che accompagnerà la comitiva come un mantra per tutto il giorno. Non avevo detto che c'erano delle salite, non avevo detto che 4km sono lunghi 4km, non avevo detto che la strada sarebbe stata infangata in alcuni punti e non avevo detto che al Poggio avrebbe fatto freddo. Dopo un po' incomincio a sentirmi anche colpevole anche per la fame nel mondo e per la crisi in medio Oriente. Mi cadono le braccia quando l'ennesimo Ciuchino di Shrek mi chiede "quanto manca?" e lo fa seduto su una roccia alla sosta n° 752. Non resisto e rispondo: "a questa velocità, due giorni", guadagnandomi l'ennesimo sguardo di fuoco di giornata. In questa combriccola di cinture nere di divano e telecomando sono in pochi a salvarsi. Mi piace citare gli amici Marco e Iulia (what a couple), il quasi settantenne Gianmarco (stima e rispetto brother), Andi e Valentina con prole e, soprattutto, le mie donne: Roberta e Valentina. Per la seconda si tratta di una vera impresa, condotta non senza patimento, sbuffi e sguardi in cagnesco, ma comunque portata a termine. Ero stato tante volte a Poggio Scali, l'ultima delle quali in compagnia del buon Sandro camminando nella neve alta, ma non mi era mai sembrata una Via Crucis come quella odierna. Giunti al Poggio temo che vogliano completare la rievocazione storica immolandomi sulla croce. Compiuta l'impresa si torna al parcheggio ed i due gruppi tornano a casa più sgranati che sul sentiero, ognuno ormai bada a se stesso sfinito dalla fatica. L'obiettivo di giornata era unire le comunità di Rimini e Firenze ed in parte è stato raggiunto, ora infatti hanno un nemico comune: il sottoscritto. Probabilmente nell'atrio delle due chiese è stata affissa una locandina con un mio primo piano "wanted dead or alive", ça va sans dire. Clicca qui per vedere il servizio fotografico di Iulia
2 Commenti
Ogni tanto serve un bel bagno di umiltà. Quest’anno avevo programmato il mio trekking di 4 giorni insieme a mio figlio, ma nulla è andato per il verso giusto dal primo momento. Per prima cosa Giacomo si è procurato un problema a ginocchio e caviglia cadendo con lo scooter: fuori uno. Pazienza. Poi si sono aggiunti i miei vecchi compagni di viaggio Marco e Giacomo. Felicissimo della loro partecipazione e per favorire la presenza di Marco ho dovuto ridurre il programma da 4 a 3 giorni. Pazienza. Poi Marco ha avuto un contrattempo e non ci ha potuto raggiungere se non nel tardo pomeriggio, quindi il primo giorno abbiamo camminato solo io e Giacomo. Pazienza. Poi, dopo pochi metri all’inizio del secondo giorno, Giacomo ha abbandonato per un problema al ginocchio. Pazienza. Quando io e Marco eravamo quasi giunti a fine percorso, ci siamo trovati davanti l’ostacolo della neve che ci ha impedito la salita alla Burraia, riducendo ulteriormente il trekking da 3 a 2 giorni. Pazienza. E così la tanto agognata Marradi-La Verna è diventata mestamente Marradi-Campigna. Insomma, due cose ho imparato da questo trekking: nella vita ci vuole fortuna e ci vuole pazienza. Non posso prendermela però solo con madre natura, ma piuttosto con me stesso che, come scritto ad inizio post, avevo evidentemente bisogno di un bagno di umiltà. Quest’anno infatti ho pianificato un percorso da maratoneti riducendo a 4 tappe un percorso che l’Alta Via dei Parchi disegna in ben 6 tappe. In particolar modo il secondo giorno del mio programma prevede un tour de forces improponibile da San benedetto in Alpe alla Burraia, 13 ore di cammino per circa 33 chilometri. Sarà vero che “impossible is nothing” ma è anche vero che “I am a pirla”. Mi rendo conto del mio piano impossibile già alla prima tappa. Unisco le tappe Marradi-Lago di Ponte con la tappa Lago di Ponte-San Benedetto, che prevederebbero 9 ore di cammino totale per 26-27 chilometri circa di percorrenza. Pianifico una scorciatoia (che manco clamorosamente) ed a fine percorso mi fido di Marco (e non della carta…) il quale si improvvisa guida ed allunga la strada di almeno un chilometro circa, allungamento che nelle nostre condizioni pare interminabile perché io e Giacomo abbiamo già dato tutto, o quasi, sul Cozzo del Diavolo (in nomine nomen), uno strappo i cui ultimi metri abbiamo percorso aggrappandoci letteralmente agli alberi. Arriviamo a San Benedetto alle sette di sera, dopo 10 ore di cammino. Una doccia e una meravigliosa serata nel ristorante dell’albergo locale riportano in alto i nostri cuori ed anche l’ago della mia bilancia: divoro una porzione di pappardelle che stenderebbe anche Obelix e non mi arrendo nemmeno davanti ad una grigliata con porzioni doppie. Passo la notte insonne inseguito dal cinghiale utilizzato per condire le pappardelle e svegliato costantemente da Marco, trasformatosi per l’occasione in una motozappa a causa del raffreddore. Pazienza. Il mattino successivo scegliamo una scorciatoia codarda e grazie alla cortesia del locandiere raggiungiamo il Passo del Muraglione in auto e non a piedi, come previsto dal mio folle ruolino di marcia. Al Passo il morale è alto, la giornata splendida e c’è tanta voglia di affrontare la tappa che si chiuderà al rifugio "Città di Forlì" della Burraia, dove ad attenderci c’è un’altra deliziosa cena spacca panza. Ma le cose si mettono male da subito e Giacomo abbandona dopo pochi metri a causa del suo ginocchio ballerino. Forse la tappa di ieri lo ha stroncato. Proseguiamo io e Marco cercando di mantenere alto il morale e attraversiamo un tratto del Parco che non conoscevo ma che apprezzo da subito. Da Marradi a Lago di Ponte non ho amato molto il paesaggio, ma qui si vede subito la differenza e l’avvicinamento a Castagno d’Andrea avviene in un panorama meraviglioso. La fatica si fa sentire ma la salita è graduale e riusciamo abbastanza agevolmente a raggiungere il rifugio del Borbotto. Qui incontriamo un ciclista che, con accento toscano e tono impietoso, distrugge le nostre ultime speranze di salvare il trekking annunciandoci neve alta sul Falterona. Puntiamo su Piancancelli e ci rendiamo subito conto che il ciclista ha ragione. Penso a quanto sarà difficile arrivare in cima e soprattutto guardo in prospettiva la giornata di domani: 24 chilometri fra i 1000 e i 1500 metri con neve alta a terra e pioggia dal cielo. In queste condizioni non ha nessun senso proseguire. Chiamo Roberta , che sarebbe dovuta venire a prenderci il giorno dopo a fine tappa e le chiedo se può anticipare di un giorno. Inutile pagare una notte supplementare d’albergo in questo clima di sconforto. È la mia Caporetto, mi auguro solo di fare tesoro di questa lezione. |
Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
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