Chi se lo aspettava di fare un'altra escursione in questo ultimo sabato di agosto? Improvvisamente devo andare a recuperare i ragazzi dal campeggio e scopro che dovrò passare dai Mandrioli, quindi ne approfitto e parto in anticipo e alle 8,30 sono già sul sentiero. Scelgo di partire dal 201, un paio di curve dopo il Villaggio Ravenna Montana. Non conosco bene la mia destinazione odierna e decido di disegnare il percorso cammin facendo, dando uno sguardo alla carta e tenendo sotto controllo fiato e gambe. Il primo tratto è meraviglioso, una comoda strada per bikers che nel punto denominato Poggiaccio regala scorci panoramici a perdita d'occhio sia sul versante romagnolo che su quello toscano. Cammino sul crinale che divide le valli di Bagno e Badia. Quando la strada incomincia a diventare troppo comoda e noiosa, trovo l'imbocco per il 209, ovvero il sentiero che mi porterà a Pietrapazza. Sono felice di potermi tuffare in questo trek strettissimo e impervio che taglia una zona boschiva e fitta, interrotta solo a tratti da frane antiche e recenti. Da queste parti passava il sentiero denominato Grande Circuito della Romagna, abbandonato a causa di una frana e ridisegnato più in quota, oggi 209. Forse è questa la ragione etimologica della valle di Pietrapazza, infatti da queste parti la pietra sembra proprio folle e traccia vie imprevedibili con sentieri da camosci e regala panorami insoliti che alternano zone riccamente boschive a ferite di roccia che si aprono come squarci lungo i crinali. Non molto distante dalla chiesa trovo la deviazione del vecchio GCR che indica la strada per il Passo Bertesca, quindi decido di lasciare il 209 per non allungare troppo il sentiero: oggi devo tornare all'auto non oltre le 14,30 a causa del mio appuntamento con i campeggiatori. Questo mi da modo di vedere un altro tratto di foresta che non conosco ed affronto il primo guado di giornata su un bel ponticello in legno che oggi risulta inutile, infatti il fiume che supero e di cui ignoro il nome, è completamente secco. Il secondo guado sarà quello del Fosso del Rovino, più in alto. Non ho raggiunto la chiesa, ma riesco a scorgerla chiaramente girandomi più volte di spalle: vedo il campanile e vedo il sentiero che sale a Siepe dell'orso, intervallato ogni tanto da vecchi nuclei abitativi da tempo abbandonati. I nomi sembrano usciti dalla fantasia di un romanziere: Rignone, Abetaccia, Baraccone, Castagnaccio e poi ancora Campo della Sega, Rio Olmo, Cialdella. Sono solo alcuni dei casali che si incontrano in questa valle ed hanno tutti la stessa caratteristica: sono stati abbandonati da almeno 50 anni. Le genti di questi luoghi hanno combattuto un fiero scontro con Madre Natura, cercando di soggiogarla senza successo. Hanno tagliato gli alberi, venduto il legname, prodotto il carbone, pascolato il bestiame e lavorato la terra dove nessun altro sarebbe stato disposto a farlo. Si sono prodigati in un braccio di ferro che si è protratto nel tempo ed oggi ciò che vedo mi dice che questo braccio di ferro l'ha vinto la terra. Nel dopoguerra sono dovuti tutti scappare in città ed hanno lasciato queste dimore nelle mani di una natura che in pochi decenni si è ripresa tutto. Guardo queste mura diroccate e vedo alberi crescere in mezzo a stanze che non hanno più pavimento e porta, alberi che alzano i propri rami in segno di vittoria per un cielo riconquistato, perché anche il tetto è crollato. Vedo vecchi che cercano di scaldarsi vicino al fuoco, bambini sporchi che giocano a terra con un pezzo di legno, uomini baffuti che tornano a casa sfigurati dalla fatica e donne spettinate e sudate che stendono una sfoglia sottile come la speranza. Negli ultimi metri del sentiero 205, proprio sull'ultima rampa che precede l'imbocco della strada forestale Cancellino-Lama, sento il morso di un crampo. Decido allora di fare una breve sosta con spuntino. Riprendo la strada forestale in direzione passo del Lupatti e poco dopo la fonte delle Cavalle trovo l'imbocco del 105 che sale al Passo della Bertesca. Sono indeciso se salire o no perché temo di non avere tempo sufficiente, ma le gambe mi tolgono ogni dubbio, infatti non appena mi avvio lungo la salita sento i muscoli duri e scelgo, saggiamente e codardamente, di rimanere sulla forestale. Oggi la trovo noiosa e non vorrei farla, ma oggi non comando io, comandano le gambe. Ai Lupatti sono costretto ad abbandonare la strada per imboccare lo 00 e al primo strappo sento per la terza volta il morso dei crampi. Nelle 4 ore precedenti ho incontrato solo due ciclisti, ma qui mi superano ben sei escursionisti e altri due bikers. Sembra che si siano dati appuntamento nel mio momento di maggiore difficoltà. In realtà ignorano la mia presenza e non sanno del mio impasse, ma mi sento punto nell'orgoglio ed ho l'impressione che mi superino con uno sguardo colmo di biasimo. In effetti quando cammino sembro Robocop con le emorroidi, per citare Enrico Brignano. Non è il caso di proseguire e decido di sostare per un vero pasto rigeneratore. Quando riprendo sto molto meglio e mi godo questo scorcio di foresta: è lo 00 ma è un tratto nuovo per me, se pur breve. Alla Cima del Termine incrocio nuovamente il 201 e, superata una mamma che allatta il bimbo seduta su un tronco (tutta la mia stima), mi tuffo in picchiata alla ricerca della strada forestale che mi riporterà all'auto. La discesa è ripida ed incrocio tre ciclisti che salgono a spinta. Non li invidio affatto, a questo punto non sarei davvero in grado di salire più di un metro. Scoprirò a casa che ho percorso 17 chilometri, ma il dato più sensibile è relativo il dislivello complessivo: Wikiloc mi dice 1277 metri. I crampi trovano una giustificazione, ma la sostanza non cambia: come gli abitanti di queste valli anche io ho sfidato i monti a braccio di ferro e ne sono uscito con le ossa rotte.
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All'inizio della mia seconda settimana di ferie ho finalmente la possibilità di piazzare il mio tradizionale trekking calabrese. La prima settimana è stata caratterizzata da tempo incerto e impegni familiari, ma ora tutto è pronto e non mi farò sfuggire l'opportunità. Metto la sveglia e alle 6 del mattino la mia auto è già in direzione Sila. Il tempo è buono, rade nubi solcano il cielo e la temperatura è ottimale. Quest'anno punto sul secondo Centro Visite del Parco, memore della precedente esperienza positiva. Ho tentato di trovare percorsi alternativi contattando anche un rifugio specializzato, ma pare non sia così semplice fare trekking in Calabria. Sono abituato a comprarmi una carta e a viaggiare da solo, ma qui pare che le cose funzionino in modo diverso: carte non ne ho trovate, quindi o sfrutti la sentieristica dei centri visita oppure ti devi appoggiare alle guide a pagamento. Sarei anche disposto a pagare, il problema principale è che non escono per un escursionista singolo e non mi è comodo aggregarmi ai gruppi organizzati. Costretto al trekking fai-da-te decido di appoggiarmi al Centro Visite Cupone, nella Sila alta. Il centro è all'altezza del suo gemello ed anche qui trovo un solerte impiegato che mi spiega con cortesia e dettagli quali percorsi potrei fare. Sembra che siano tutti spaventati dalle distanze e dalla fatica: "questo sarebbe bello, però è lungo 18 km...questo è molto ripido....qui dovresti guadare un piccolo fiume". Ringrazio per la premura, ma spiego che questi elementi non mi spaventano. Come faccio a fargli capire che è proprio ciò che cerco? Punto su una salita che in 6 km mi porterà ad un punto panoramico posto a circa 350 metri sopra il punto di partenza. La strada è larghissima, si tratta di una forestale percorsa certamente da mezzi autorizzati, e si stende comoda in una pineta lussureggiante. Ammiro delle incisioni sugli alberi che sembrano praticate dai pellerossa e che danno ai tronchi l'idea fascinosa di un totem. Scopro che si tratta di qualcosa di meno animista, è semplicemente una traccia storica dello sfruttamento irriverente del territorio, sono infatti le scanalature praticate per il prelievo della resina. La salita è lunga ma leggerissima e sento solo il rumore delle fronde, il cinguettio degli uccelli e lo scrosciare di uno dei rivi che alimenta il Lago Cecita. Improvvisamente odo un suono diverso: sono muggiti e campanacci, ed in breve mi trovo a passare in mezzo a una mandria di mucche e vitelli. Nonostante la mole mi temono e, sempre nonostante la mole, si arrampicano off-road con sorprendente agilità. Giungo al punto belvedere a quota 1485 slm ed ammiro il panorama sottostante: nella piana a 1000 metri di quota si stende il lago alla minima portata idrica. Scopre aree certamente invase durante la stagione fredda e isolotti emersi. Non ha il fascino di un lago alpino, ma è comunque un belvedere Torno sui miei passi e all'incrocio con il sentiero 6 (io mi trovo sul 2), sosto indeciso: potrei allungare o rientrare imboccando a breve il sentiero 1 che porta alle aree recintate. Temo di fare troppo tardi, il cielo si è annuvolato ed i piedi soffrono dentro questi scarponi che hanno ormai fatto la loro storia (a casa troverò delle vesciche). Scelgo la strada breve e inizialmente Madre Natura mi fa il dono di un bell'incontro, un simpaticissimo scoiattolo che si arrampica su un tronco; giunto a metà salita sosta su un ramo per controllare le mie intenzioni e per un po' ci guardiamo negli occhi: circospetto lui, divertito io. Arrivo alle recinzioni e termina la magia di una giornata intera trascorsa in ascetico silenzio: qui è un vociare di famigliole con prole. I bambini gridano come pazzi nel vedere cervi e daini che stancamente stazionano nei recinti. Guardo negli occhi un cervo e sembra che le nostre menti entrino in sintonia: "Lo so, vecchio mio, che ci vuoi fare. Abbi pazienza, fra un po' ti riporteranno nel bosco dove potrai muoverti libero nel regno del silenzio. Nel frattempo goditi questa vacanza fatta di cibo assicurato e assenza di predatori." A proposito di predatori, c'è anche la recinzione dei lupi, ma non si fanno vedere ed io saluto la foresta vuota, completamente solidale. So che non dovrei avere questi sentimenti, ma è più forte di me: non riesco ad avere rispetto per queste genti che vagano abbigliate come se camminassero sul corso. Vedo improbabili calzature, borsette da passeggio, pantaloncini ascellari e padri che sbuffano spingendo i passeggini. Mannaggia alla Maiella, ma come puoi pensare di portare un passeggino in un sentiero nel bosco? O hai un passeggino 4wd o sei un cretino. Ma ciò che maggiormente mi indispone è il comportamento scomposto e irriverente. Mi guardano nel mio abbigliamento tecnico come fossi un extraterrestre ed io ricambio con il mio ghigno da orso asociale. Non riesco a rispettarli perché a loro volta mancano di rispetto e profanano il mio tempio. Sì, sono un orso asociale, mannaggia alla Maiella! "Meglio un morto in casa che un marchigiano alla porta". Ancora oggi qualcuno ripete questo spiacevole detto, senza conoscerne le origini storiche. Un tempo infatti dalle Marche venivano gli esattori dello Stato Pontificio ed avere un marchigiano che ti bussava alla porta corrispondeva, in molti casi, alla sgradita visita di un impiegato di Equitalia. L'ispezione di un marchigiano era accolta con la stessa gioia con la quale si ritira una cartella esattoriale dalla buchetta della Posta. Oggi le cose sono cambiate e l'erario si affida a impiegati provenienti da tutte le regioni del territorio italiano, ma il detto è rimasto. Anche quest'anno programmo il mio viaggio on the road verso la Calabria insieme a Giacomo, ma all'inizio devo pagare il dazio marchigiano. Non si tratta di denaro, ma quest'anno si traduce in un fortissimo ritardo sulla tabella di marcia che mi guasta in parte il programma: arrivato a Marotta il traffico si ferma completamente ed anche se tento una sortita fuori dall'autostrada il risultato non cambia. E' un mare di auto di disperati vacanzieri come me che, affannosamente, tenta di sfondare il muro marchigiano. I lavori per la terza corsia di Ancona si protraggono da tempo immemore e fino al casello a sud del capoluogo è un bagno di sangue. Solitamente arrivo ad Ancona in un'ora, oggi ne impiego poco più di tre! Superato lo scoglio il traffico si fa più scorrevole e inizia la nostra vera vacanza, ma ormai il ritardo accumulato fa saltare un po' i piani. Dovremo rinunciare alla visita dell'abbazia di Montecassino, ma cerchiamo di salvare la visita ai Monti della Laga. Giungiamo alle 3 del pomeriggio al Ristoro Mucciante in zona Campo Imperatore e dico a Giacomo che probabilmente sarà chiuso. Invece è pieno di turisti che fanno una succulenta merenda a base di arrosticini e carne grigliata. Da queste parti i vegani vengono impiccati sulla pubblica piazza. Acquistare la carne e cucinarla on site mentre si ammira il paesaggio da far-west di quest'angolo di Abruzzo è una libidine senza pari. Se avessimo tempo ci faremmo anche un giro a cavallo, ma dobbiamo puntare sulla nostra prossima tappa: Rocca Calascio. Il programma prevedeva un avvicinamento a piedi da Santo Stefano di Sessanio, ma ora siamo costretti a raggiungere il piccolissimo caseggiato antico in auto. Parcheggiamo alle pendici del monte e scegliamo di salire a piedi per fare almeno un breve anello di 4 chilometri circa. Il tempo ci grazia ed il cielo è limpido. La strada antica è battuta e polverosa ed io immagino come dovesse essere in epoca medievale. La fantasia non deve fare grandi sforzi perché sembra che non siano cambiate molte cose da allora, a parte la strada asfaltata che soddisfa le esigenze dei più pigri. Raggiungiamo la bellissima chiesa di Santa Maria della Pietà, un tempietto a pianta ottagonale eretto in epoca settecentesca, a pochi passi dal castello. Raggiunta la Rocca scopriamo con sorpresa che è visitabile e ci accoglie una simpatica guida locale. La ragione per la quale questi quattro sassi esercitino tanto fascino mi è sconosciuta: in effetti del vecchio edificio rimane davvero poco e il terremoto e l'incuria dei secoli passati hanno sottratto molto a ciò che un tempo era stato questo luogo, ma l'aria è permeata di fascino antico e la vista su questi monti è una gioia per gli occhi. Per un amante di montagne e storia medievale come me, questo luogo è l'equivalente di Gardaland per un bambino. Torniamo all'auto passando per l'hotel diffuso che in questi anni è stato aperto da saggi albergatori e proseguiamo il nostro viaggio: la strada verso il sud è ancora lunga. No, non ci sono refusi nel titolo. Soltanto un sapido calembour con il nome di una località incontrata sul sentiero. Qualche passo indietro. Oggi è uno di quei giorni nei quali, come se fossi un computer, ho bisogno di resettare tutto e formattare il disco. Ultimamente troppe cose mi hanno messo fuori fase ed ho bisogno dei miei monti, della solitudine e di un luogo dell'anima dove ritrovare l'equilibrio perso. Accompagno la famiglia in stazione perché iniziano le loro ferie; io dovrò aspettare ancora una settimana e così ne approfitto per risalire in auto e puntare in direzione Badia Prataglia. Uno dei miei luoghi dell'anima è la Foresta della Lama e ogni tanto ci devo tornare. La giornata è perfetta per un pellegrinaggio laico. Temperatura primaverile, cielo sereno, nessun impegno in vista. Nessuna scadenza, nessun capo psicopatico, nessun pagamento impellente, nessuno che ti dice cosa fare sapendo in anticipo che qualsiasi cosa farai sarà quella sbagliata. Così, a prescindere, solo per il gusto della polemica. Oggi sono solo io, i miei amici scarponi e un sentiero tutto da tracciare in assoluta libertà, sapendo che qualsiasi decisione prenderò sarà una decisione giusta. Ho in mente un percorso e nel cuore un dubbio: riuscirò a portarlo a termine? Nulla di straordinario, però ultimamente mi sono un po' impigrito a causa delle temperature africane e mi sento fuori forma. Decido di partire e ascoltare il mio corpo, vedere come risponde alle sollecitazioni, stabilendo cammin facendo se e come proseguire. Parcheggio al rifugio Fangacci e mi incammino verso una tappa obbligatoria, un must di queste foreste, ovvero il punto panoramico di Monte Penna. La giornata serena mi regala l'ennesima bella vista. E' una falsa partenza. Torno sui miei passi ed imbocco il sentiero sul crinale che conduce alla cima Coppi di oggi, quel Poggio allo Spillo over 1400 che nemmeno ti accorgi di raggiungere, smarrito fra gli alberi e privo di segnalazione. La faggeta è maestosa. Sono circondato da alberi, un mare di alberi. Se fossero alberi di navi mi troverei imbarcato con l'esercito di Agamennone alla volta di Troia, se fossero soldati camminerei al fianco di Serse in marcia verso le Termopili, se fossero sarisse sarebbero impugnate dagli opliti di Alessandro alla conquista dell'Asia e della gloria eterna, se fossero mattoni starei camminando sulla Grande Muraglia, se fossero statue starei ammirando l'esercito di terracotta. Giungo alla Crocina e mi accorgo, con un po' di malinconia, che la vecchia croce è stata sostituita da una nuova. Ci si può affezionare a una vecchia crocina di legno? Pare di sì e mi dispiace vederla declassata e posizionata in disparte. Al Passo della Bertesca incontro le prime anime di giornata, due spericolati amanti di downhill. Il loro approccio alla foresta sacra è diametralmente opposto al mio: loro scelgono di profanarla tagliandola in due a 60/70 chilometri orari in una nuvola di fumo e adrenalina, io invece mi avvicino alla regina del Parco in punta di piedi. Quando sento il primo scrosciare delle acque chete del Fosso dei Forconali mi sembra che la foresta mi dia il suo benvenuto. Intorno a me c'è solo il silenzio rotto dalle acque e dal cinguettio degli uccelli. C'è solo il pulsare ritmico del mio cuore e l'ansimare quasi sensuale del mio fiato rotto dalla fatica. Giunto alla foresta visito doverosamente altri due luoghi dell'anima: il rifugio Tigliè e la vicina chiesetta. Due perle preziose. Il rifugio sembra la dependance della dimora dei sette nani e la chiesa si erge come un tempio in mezzo al prato. Guarda le montagne che la sovrastano con aria di sfida, come l'ultima bandiera rimasta a sventolare su una trincea sconfitta. Se dovessi scegliere un luogo dove costruire una chiesa, non saprei sceglierne uno migliore. Evidentemente ci sono altre persone che la pensano come me e qualcuno ha affisso sul portale della piccola chiesetta una poesia che merita di essere citata. Natura ed affanni, emozioni e bisogni Ci sono luoghi magici dove la natura filtra in noi come la luce del cielo fra gli alberi, dove i nostri affanni si distaccano con leggerezza come foglie autunnali dalle piante, poi svaniscono nell'equilibrio delle sue forme imprevedibili, nell'armonia dei suoi colori, nell'ebrezza dei suoi odori e nella saggezza dei suoi silenzi: ci assale un tripudio di emozioni ed emerge un richiamo primordiale, quello arcaico dei bisogni essenziali. Lasciata la Lama devo decidere se salire per il Fosso degli Scalandrini o per quello degli Acuti. La seconda opzione mi alletta maggiormente: non ho mai percorso questa via in salita ed evitare le rampe degli Scalandrini mi pare una buona idea perché voglio allungare, considerato anche il fatto che sto molto bene, contrariamente alle previsioni. Il trek costeggia un altro luogo di grande fascino, la foresta "proibita" di Sasso Fratino, riserva naturale integrale di grande pregio naturalistico; non a caso agli Acuti trovo un mezzo della forestale del Centro Nazionale Studio e Conservazione Biodiversità Forestale di Verona. Vengono anche da lontano per studiare questa gemma naturalistica. La salita che mi porterà al Gioghetto è senza pietà: 5 chilometri di salita costante per un dislivello complessivo di oltre 500 metri, percorsi in 90 minuti esatti. La fatica non mi spaventa, la fatica oggi è mia amica e mia alleata; mi serve per ritrovare quell'equilibrio a cui facevo riferimento ad inizio post. Come in un odierno Jekill e Hyde convivono in me due anime: una corporale e l'altra spirituale. Nel caos quotidiano quella corporale ha quasi sempre la meglio sulla seconda, permettendo alla pigrizia e all'indolenza di vincere. Oggi non sono disposto a cedere un metro al mio corpo e questa salita è la vittoria trionfale dello spirito sulla materia: impongo al mio corpo di camminare oltre l'attesa e tacito la pigrizia dominando il corpo con la mente. In questo modo la salita diviene facile e la fatica piacevole. Non si tratta di una impresa in senso assoluto, ma per me è un trionfo. Giunto al Gioghetto la magia svanisce: lo 00 è un sentiero di tutti, facile facile e in questo tratto privo di fascino. A Prato Penna scelgo codardamente la strada di rientro più facile ed abbandono il bosco per percorrere la provinciale che taglia la foresta. Sono convinto che non passerà nessuno e invece vengo disturbato da tre auto e due moto. Ma ormai la giornata è finita, la seduta terapeutica ha già sortito gli effetti desiderati, quando sono sceso verso la Lama e risalito poi da essa, come in un percorso di morte e rinascita. Clicca qui per vedere il filmato dalla cima del Monte Penna
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Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
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