Quando l'amico Alessandro mi invita per una vera escursione alpina, con tanto di pernottamento in rifugio a 2500 metri di quota, non posso che accettare con entusiasmo. Partiamo a un orario da cacciatori da quel di Faenza e ci ritroviamo con un gruppo di sette nuovi amici, distribuiti su due auto e una moto. A causa delle varie esigenze della carovana e del traffico di fine luglio, il viaggio dura sei ore e, nonostante la levataccia, non mettiamo piede sul sentiero prima delle 12. Non si tratta dell'orario migliore e Ale pesta i piedi perché teme un improvviso rovescio tipico del clima alpino durante la stagione calda. Il clima goliardico da gita scolastica però non abbandona il gruppo e si procede con lentezza frammentando con continue soste. Partiamo da Daunei, poco sopra Selva di Val Gardena, e lo spettacolo ci circonda già dopo pochi metri: è un'esplosione di clorofilla e il verde dei prati acceca. Le mucche che pascolano placidamente sul manto vellutato sembrano fissate su tela da un abile artista che ha scelto come cornice per la sua opera abeti e torri di roccia. La prima vera sosta è al Rifugio Firenze, una chicca incastonata in un patchwork dai toni verdi, azzurri e bianchi. Mentre riacquistiamo le forze scopriamo il piacere di bere una "ski wasser" dopo avere percorso alcuni chilometri sotto il sole. Ripartiamo in salita e incrociamo numerose famigliole che si sono arrampicate sull'altopiano per fare un picnic. Giunti sul posto decidiamo di consumare il nostro pasto e, proprio mentre stiamo per ripartire alla volta delle cime rocciose, Veronica accusa strani sintomi: ha un mal di testa latente, difficoltà di parola e va sempre più in affanno. Veronica è giovane e attiva, proprio pochi metri prima mi diceva di avere in programma il Camino di Santiago, e la sua défaillance lascia tutti stupiti e preoccupati. Sostiamo a lungo in attesa della ripresa e non appena si sente meglio ci rincuora insistendo per proseguire. Poco dopo giunge il primo vero ostacolo di giornata: è la dura salita della Forcella del Sieles (2505 mt) un sentiero che sale impietosamente a zig zag in mezzo al ghiaione franato che ci costringe ad un passo affannoso e lento. Procediamo a testa bassa, come novizi che si prostrano davanti a un maestro. La montagna richiede il suo tributo a camminiamo a capo chino fino al punto ferrato dove saliamo aggrappandoci per non precipitare. Superato il passaggio arriviamo sull'altopiano Puez-Odle sovrastato dai pinnacoli rocciosi dove, ci rammenta Sandro, il giovane Messner veniva a preparare le sue imprese. Il cammino si fa agevole e procediamo ammirando le cime montane che si stagliano all'orizzonte, incontrando numerose capre, mucche, pecore e marmotte. Finalmente vediamo la meta di giornata, quel rifugio che ci accoglierà per la notte, raggiungendolo a pomeriggio inoltrato. Dopo una piacevole serata in compagnia, riprendiamo il cammino chiudendo il nostro anello prima rimanendo in quota, poi scendendo in mezzo a pareti verticali ed infine risalendo il Sas Ciampac, cima Coppi della nostra due giorni a quota 2672 mt. La salita mi sorprende in ogni senso: non me l'aspettavo e non pensavo potesse essere così bella, anche se dura. Sotto di noi dovrebbe pararsi un panorama mozzafiato ma vediamo solo nuvole basse. Dopo la doverosa sosta scendiamo di quota e raggiungiamo l'affollata Forca Crespeina, raggiunta per lo più da camminatori che risalgono da fondo valle. Qui il panorama non ci risparmia nulla e, oltre alla figura monumentale del Sassolungo che il giorno prima non potevamo vedere a causa delle nuvole, ammiriamo la foresta di abeti che scende verso Selva circondata dalle tipiche crode rosse dolomitiche. La discesa, inizialmente morbida e piacevole, diventa una vera e propria picchiata a valle che mette a dura prova i nostri muscoli già doloranti. Quando vediamo la chiesetta di Vallunga il sollievo coglie il gruppo. Ci fermiamo a fare i tursiti per gustare una ski wasser e il clima è molto rilassato; in realtà manca ancora almeno un chilometro alla fine, del quale almeno metà sarà in salita per riguadagnare il parcheggio dove abbiamo lasciato le auto. I muscoli si lamentano per lo sforzo e giunti a questo punto anche una innocua salitella diventa una cima ragguardevole. Arriviamo all'auto con la lingua lunga, ma soddisfatti per l'esperienza vissuta. Torno a casa felice e penso alle "mie" montagne, così diverse e più basse, e faccio mie le parole che disse Messner descrivendo le cime tibetane: le loro montagne iniziano dove finiscono le nostre. Il video della due giorni dolomitica
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Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
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