Andi ha comprato le scarpe nuove e abbiamo deciso di fargli fare un bel rodaggio. Il nostro desiderio di bissare il panino con la finocchiona gustato un anno fa, il cui ricordo ci è rimasto nel cuore e nel palato, ci impone la scelta del medesimo itinerario dell'anno scorso, rimasto incompleto a causa del rientro forzato di Vincenzo (vedi post "Obbedisco" - 1 ottobre 2011). Oggi Vincenzo non c'è e il nostro progetto è molto semplice: trek e finocchiona, accoppiata vincente. Inoltre per me si tratta del bis della lunga cavalcata di agosto 2011 e accetto volentieri la sfida, anche se non sono in grande forma. Partiamo molto presto da casa e alle 9 siamo in grado di iniziare il percorso. Il nostro entusiasmo è immediatamente smorzato dal cartello che campeggia sulla porta del chiosco del Passo della Calla: chiuso per ferie! Che amarezza…. Andi, contro ogni suo principio, non si è portato nulla da mangiare e questo amplia la delusione per il tradimento del fido chioschetto. Ci ritempriamo con il proposito di andare a caccia di finocchiona a Santa Sofia, al rientro, ed attacchiamo il sentiero dopo questa falsa partenza. Monte Gabrendo, bello in ogni stagione. La giornata è ideale, fin troppo calda, ed in cielo si rincorrono nuvole che lasciano filtrare a tratti un tiepido sole autunnale. Giunti alla Burraia ci concediamo una sosta di qualche minuto per qualche foto di rito e per ammirare il panorama sempre affascinante. La Burraia è una terrazza a 1400 metri, con doppia vista sulle mie due regioni del cuore: Romagna e Toscana. Andi gradisce particolarmente questo pianoro, essendo un amante dei sentieri e degli spazi aperti; non apprezza troppo il bosco in questa stagione, gli sembra troppo spento cromaticamente. Ama più il cielo terso, il tepore del sole sulla pelle e i colori accesi della natura nei mesi caldi. Io invece adoro camminare dentro il bosco, specialmente in questa stagione dell'anno. Amo molto anche i colori dell'autunno e amo il modo in cui madre natura gioca con la tavola cromatica, accostando colori intensi dai toni caldi. E' recente il mio acquisto di un obiettivo con il quale ho realizzato un album di foto che mi sono riuscite piuttosto bene, anche se non dovrei essere io a dirlo. Ho intitolato l'album proprio così "Autunno". Ecco il link nel profilo Club Nikon: http://www.nikonclub.it/gallery/index.php?module=listAlbumImages&method=main&filters:user_filter=74685 Andi in posa sul Monte Falco. Andi sta valutando l'acquisto di una reflex e mi tempesta di domande; parlando quasi esclusivamente di fotografia, ci ritroviamo sul Falterona senza quasi accorgerci della fatica e dello scorrere del tempo. Dopo avere condiviso il mio pranzo a base di frutta (....), prendiamo la ripida discesa che ci porta a Capo d'Arno. Andi non sa dove stiamo andando, si fida della mia guida, ed io voglio fargli una sorpresa. L'operazione ha successo: davanti alla sorgente del fiume subisce il fascino del luogo e si lascia andare ad esternazioni filosofiche sulla meraviglia di ciò che, procedendo da piccole cose, diviene grande. Sarebbe bello condividere il suo entusiasmo, ma in questo momento la mia mente è presa da cose più terra terra: non funziona più l'AF del mio nuovo obiettivo! Ripongo la lente (l'allarme rientrerà) e ci lasciamo capo d'Arno alle spalle per puntare su un altro luogo suggestivo di questi monti: il lago degli Idoli. La croce del Falterona. L'entusiasmo di Andi è molto ridotto però; in effetti il piccolo specchio d'acqua è poco attraente, ma soprattutto il mio compagno di viaggio, a questo punto del giorno, è più preso dai morsi della fame che dal fascino del sito archeologico. Riprendiamo la via di casa, ripercorrendo il sentiero a ritroso, puntando diritto al passo. Giunti in prossimità del parcheggio vediamo del fumo tra gli alberi: è la sagoma di un tetto dal cui comignolo esce la condensa della cucina. Allora abbiamo letto male, il chiosco è aperto! Andi si fa cogliere dall'entusiasmo e balla la danza del trekkarolo affamato. Pochi metri e scopriamo che il tetto non è quello del chiosco, ma del rifugio del Corpo Forestale. Davanti all'ennesima delusione Andi è uno straccio: trascina i piedi fino all'auto e si abbatte sul sedile. Abbiamo camminato per sei ore e, in effetti, un panozzo alla finocchiona me lo sgargarozzerei volentieri anch'io. Scesi a Santa Sofia tento di rianimarlo con un la finocchiona del Conad, ma non è la stessa cosa. Sarà la qualità del salume, sarà il cambio di quota, ma non è la stessa cosa. Poco male: abbiamo una buona scusa per tornare!
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Con Riccardo al rifugio Cotozzo. Oggi il mio compagno di giornata è Riccardo. Non ci conosciamo da molto e non c'è mai stata occasione di uscire con lui. L'invito è occasionale e davanti alla sua titubanza penso che sia uno dei tanti che non apprezza il trekking, quindi taglio corto e in modo un po' brutale gli dico al telefono: "Lascia perdere, già un paio di giorni fa mi hanno un po' frenato, oggi preferisco farmi una bella camminata da solo. Sarà per un'altra volta." Evidentemente l'ho punto nel vivo perché davanti alle mie parole, che sembrano accusarlo di pigrizia, si rianima e orgogliosamente dichiara che lui è ben allenato ed è un buon camminatore, quindi accetta il mio invito con il tono di chi accetta una sfida. Decido allora di metterlo un po' alla prova e scelgo un percorso mediamente impegnativo. Non voglio fare una passeggiata blanda, ma nemmeno bruciarmi un possibile compagno di future escursioni ed ho imparato bene, per triste esperienza, che se la prima uscita non è gradevole, resta un trauma difficile da rimuovere. Al contrario una buona esperienza farà di lui un amante della montagna. D'altronde si sa, lo dice anche il proverbio: il primo trek non si scorda mai. Punto sui luoghi che conosco meglio, anche perché non voglio passare il tempo a scrutare la cartina. Lasciamo l'auto a Camaldoli e saliamo verso rifugio Cotozzo, per poi proseguire per Poggio Tre Confini. La salita è lunga, ma non troppo impegnativa. Una cavalcata di 5 km che ci porta dagli 800 ai quasi 1400 metri slm del poggio. La strada scompare, fagocitata dalla nebbia. Il paesaggio è meraviglioso: prima castagni, poi faggi e poi abeti; quasi ovunque è un tappeto di foglie morte e muschio. I colori dell'autunno formano un patchwork donatoci da madre natura: giallo, rosso, arancio, grigio, verde, marrone. Manca il blu del cielo limpido, perché oggi il tempo minaccia piogga e sulle nostre teste c'è una cappa grigia. Come se non bastasse una nebbia non troppo fitta ammanta il paesaggio. Sul sentiero che porta alla Scossa incrociamo altri tre viandanti e le loro sagome in lontananza, offuscate dalla nebbia, li fanno sembrare fantasmi grigi. Nei pochi scorci concessi dalla foschia, mai come oggi, rubando le parole a Donato Carrisi, le montagne sembrano giganti addormentati spalla a spalla. In questo paesaggio ovattato, compare quasi improvvisa, come una nave fantasma in mezzo a un mare di rami e foglie, la sagoma indistinta dell'eremo di Camaldoli; per lunghi minuti di cammino riusciamo a vedere solo pochi metri di muro di cinta davanti a noi. Davanti all'ingresso la nebbia è così fitta che non si riesce nemmeno a vedere il campanile della chiesa. Siamo giunti qui proprio durante la pausa pranzo e ce lo lasciamo alle spalle con il rammarico di non averlo potuto far visitare a Riccardo, che in questi luoghi non c'è mai stato. Diventerà una scusa per tornarci, magari insieme alle rispettive consorti. Chiudiamo l'anello tornando al rifugio Cotozzo e ci prendiamo una meritata sosta per un panino. Abbiamo camminato per 11 km in circa 4 ore e mezzo. Il tempo è volato e la fatica non si è sentita. Riccardo è davvero un buon compagno di scarpinata; cammina senza lamentarsi della fatica e chiacchiera amabilmente. Il tempo di tornare all'auto e visitare la farmacia del monastero camaldolese e riprendiamo la strada di casa. E' stata proprio una bella giornata e Riccardo una gradita sorpresa. Oggi era in programma la nostra tradizionale castagnata, ma il maltempo e la crisi economica hanno parzialmente compromesso la giornata. Il castagneto ci ha chiesto 8 euro a persona per due ore di raccolta. Solo la mia famiglia avrebbe dovuto spendere 32 euro! Rinunciamo alle castagne, ma non al progetto di trascorrere una bella giornata nei boschi, in buona compagnia. Conoscendo la disaffezione generale per il minimo sforzo fisico, tento, con rinnovata ingenuità, di mettere in piedi un programma per tutti i gusti: un percorso breve e pianeggiante di 6 km per i meno allenati, un percorso più lungo e impegnativo di 12 km per i più temerari. Gran finale nella tavernetta del Villaggio Azzurro, riuniti ovviamente intorno a una tavola imbandita. "Sciocco di un orsetto", diceva Christopher Robin a Winnie the Pooh. Mi sento come Winnie the Pooh. Un orsetto sciocco. Il numero dei partecipanti, già ridottosi da 42 (!) a 25 per rinunce dell'ultim'ora, cala drasticamente alla vigilia dell'escursione: è una pioggia di telefonate con comunicazioni di malattia, disturbi fisici e contrattempi vari. Siamo sull'orlo della pandemia. Alla partenza saremo solo in sette! All'ora di cena però, come l'araba fenice dalle ceneri, vedremo risorgere tutti questi malati. Un miracolo collettivo permetterà a ben 18 persone, assenti al mattino sul percorso montano, di ritornare in perfetta salute per l'ora di cena, e le ritroveremo con i piedi sotto il tavolo e il bavagliolo al collo. Roba da sangue di San Gennaro. Gli impavidi eroi di giornata sono, oltre a me e Giacomo: Emilio, Ilaria, Gigi, Cristina e Marco. Arriviamo al parcheggio davanti alla Casa Forestale Fangacci e appena scesi dall'auto avvertiamo subito il cambio di clima, molto più freddo che a Rimini. Iniziamo il percorso e mi accorgo di un elemento che avevo trascurato valutando il meteo: il vento. Mano a mano che saliamo aumenta, piega gli alberi e rende quasi impossibile il dialogo. Giunti a Prato Penna invito il gruppo a proseguire fino al Gioghetto, certo ormai del fatto che dovremo rinunciare. Non me la sento di chiedergli il sacrificio di un trekking guastato da questo clima avverso. Al bivio propongo una variante al programma originale, che avrebbe dovuto portarci fino a Poggio Scali, ovvero abbandonare il crinale per prendere il percorso meno esposto che porta fino alla foresta della Lama. Nonostante i miei moniti sulla difficoltà della risalita da Lama a Fangacci, i ragazzi accettano la variazione, disposti a tutto pur di abbandonare il sentiero esposto al vento. Dopo pochi metri avvertiamo subito un miglioramento: il vento è quasi scomparso e la discesa verso la Lama è morbida e gradevole. Il gruppo riprende morale e si cammina senza sforzo, chiacchierando e scherzando. Finalmente la natura diventa amica e i ragazzi incominciano ad apprezzare gli scorci che ci regala questa foresta magica. Il rumore diviene silenzio e gli abeti prendono il posto dei faggi. I cani di Gigi corrono felici avanti e indietro, controllando premurosamente l'integrità del gruppo. Giunti quasi all'area attrezzata della Lama, faccio l'errore di segnalare l'imbocco della salita al rifugio Fangacci: perché ci faresti scendere ancora, se poi dobbiamo risalire e ritornare qui? L'obiezione viene dalla bocca di Emilio ed inizialmente pensiamo sia solo una scelta dettata dalla pigrizia. Scopriremo tristemente che la sua non è stanchezza, ma il desiderio di ridurre al minimo lo sforzo, visto che la sua anca lo sta torturando. Il gruppo sceglie di rinunciare alla sosta pranzo alla Lama e ci sediamo per terra a mangiare i nostri panini. Se baci un rospo esce un principe, ma se baci una salamandra? Dopo pranzo imbocchiamo la salita. E' la seconda volta che l'affronto. La prima volta è stata più dura perché ero meno allenato e non sapevo bene a cosa stavo andando incontro. Avviso i miei compagni di cordata, ma sapere non evita la fatica: i gradoni di pietra al 70% di pendenza tagliano le gambe. Per fortuna la pendenza si riduce e il sentiero si apre e addolcisce, entrando nel bosco. Lungo la via incontriamo numerose salamandre perché questo ecosistema è il loro habitat preferito; questa è casa loro e qui siamo noi gli ospiti. Tutti salgono piuttosto bene, seppure a fatica, ma vedere la sofferenza di Emilio è un tormento. Vorrei caricarmelo sulle spalle o alleviare il suo dolore, ma il vecchio guerriero stringe i denti e ce la fa da solo. Rivedere il rifugio fra i rami è un sollievo per tutti. Avercela fatta ci sembra un piccolo miracolo, soprattutto per Emilio, ma ancora non sappiamo che all'ora di cena avremo l'opportunità di vederne uno ancor più grande, una miracolosa guarigione collettiva che ci permetterà una gradita reunion con i pigroni che ci hanno bidonato. Potenza del cibo! |
Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
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