Il salto della cascata, senz'acqua. E' da tanto tempo che vorrei visitare la cascata dell'Acquacheta. La cascata è famosa in Romagna, e non solo, ed il percorso che permette di raggiungerla da San Benedetto è piuttosto breve e semplice. La cascata è stata resa famosa anche dai versi a lei dedicati dal Sommo Poeta, in viaggio dalla Toscana alla Romagna. "Come quel fiume c'ha proprio cammino prima dal Monte Viso 'nver' levante, da la sinistra costa d'Apennino, che si chiama Acquacheta suso, avante che si divalli giù nel basso letto, e a Forlì di quel nome è vacante, rimbomba là sovra San Benedetto de l'Alpe per cadere ad una scesa ove dovea per mille esser recetto; così, giù d'una ripa discoscesa, trovammo risonar quell'acqua tinta, sì che 'n poc'ora avria l'orecchia offesa." (Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto XVI) Sempre con la scusa del caldo afoso riminese riesco a convincere le mie due vittime preferite: Roberta e Giacomo. La salita fino alla cascata è agevole e giunti sul posto troviamo due sorprese inattese: la cascata è qualsi completamente priva d'acqua e, sopra di essa, si apre un altopiano meraviglioso che non conoscevamo: è la piana dei Romiti, con antico insediamento monastico oramai diroccato. I monaci usavano la piana per la pastorizia e la coltivazione, oggi è un must per escursionisti e amanti del pic-nic. Sino a questo punto le truppe sono rimaste unite e compatte, ma dalla piana inizia un moto di insubordinazione. Abbiamo percorso circa 6 km ma da qui inizia la salita verso monte Londa: 3 km e 250 mt. di dislivello. Purtroppo non riesco a capire bene le indicazioni della guida e sbaglio un paio di volte l'imbocco del percorso; ci sono altre persone sul posto, ma io non chiedo indicazioni (antico difetto maschile) e Roberta incomincia a sbuffare e parlare in romanesco. Non rinuncio al buonumore e alle fotografie: queste fatiche e queste escursioni mi ritemprano, ma non tengo conto del fatto che non sempre il mio entusiasmo è condiviso. A termine percorso scoprirò che mio figlio, l'ecologista di casa, trasformato dalla fatica e dal caldo, si macchierà di una colpa imperdonabile. Sbaglio ancora percorso e per fortuna siamo fuori da tutto e tutti: se ci fosse uno studio legale a disposizione Roberta non esiterebbe a chiedere il divorzio. Arriviamo in cima ed inizia la picchiata verso San Benedetto. La discesa è ripida ma ombrosa e quando ritroviamo il fiume manca poco all'arrivo. Il clima si fa più disteso e i due Giuda mi confessano il delitto consumato alle mie spalle durante la salita a monte Londa: per impedirmi frequenti soste per le mie foto naturalistiche, camminavano qualche metro davanti a me e strappavano i fiori!
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In questa calda giornata estiva sono riuscito a convincere Roberta che l'unico modo per affrontare la canicola è rifugiarsi nell'ombra della foresta. Freschi e riposati affrontiamo i 2 km di salita da Campigna alla Calla e in un baleno siamo al piazzale del passo. Da qui scendiamo in un morbido declivio e anche Roberta apprezza il refrigerio che ci dona il bosco. L'aria è fresca e il clima umido favorisce la crescita di numerosi funghi che, da prudenti inesperti, non osiamo raccogliere; non è della stessa idea il tranquillo signore che incrociamo lungo la via: il suo cesto è colmo di porcini profumatissimi. La mia compagna sul sentiero della vita. Raggiungiamo rifugio Ballatoio e scendiamo fino a Villaneta, punto più basso del percorso. Tra rivi, felci e ponticelli in legno l'atmosfera è fiabesca. Il percorso è così piacevole che Roberta esclama entusiasta: qui dovremmo portare anche Valentina! Valentina è la nostra figlioletta di 10 anni non amante dello sforzo fisico, sotto ogni sua forma. In montagna però, come nella vita, ad ogni discesa corrisponde una salita. Ed è nella risalita fino a Campigna che mi gioco mia moglie. Io tengo il mio passo, più sostenuto, e lei tiene il suo, più lento, ma rimaniamo sempre a distanza di voce. Lungo la via parla in romanesco. Non è mai buon segno. Arrivati in cima Roberta è una maschera di sudore ed è così stanca che si toglie la t-shirt per asciugarsi, senza pensare che, pur essendo in un bosco, potrebbe comunque passare qualcuno e vederla in déshabillé. Mi guarda imbronciata e sentenzia: Col cavolo che qui ci portiamo Valentina! I miei compagni di trek Oggi si rallenta il passo, ma non mi dispiace affatto perché siamo riusciti a coinvolgere dei carissimi amici e soprattutto siamo tutti insieme e c’è pure la Vally: è davvero difficile stanarla. Con noi c’è la famiglia Amodey al completo, con tanto di cagnolino. All’inizio del viaggio ci accompagnano anche Emilio ed Ilaria, immancabilmente a bordo della loro motoretta. Emilio è preda di dubbi ed indecisioni, e anche se ha già preso altri impegni non riesce a dire semplicemente “mi piacerebbe, ma non posso venire” e quindi ci segue per un po’ e poi torna a casa. Ho scelto La Verna perché per me è sempre stato un luogo ricco di fascino e da bambino guardavo con occhi incantati questi luoghi ed ascoltavo con stupore i leggendari miracoli con Francesco protagonista. Più tardi scoprirò che i ragazzi sono cambiati e non riescono ad apprezzare tutto questo come invece facevo io alla loro età. Diamo colpa alla PlayStation, capro espiatorio di tutti i mali sociali. Queste considerazioni mi fanno sentire più vecchio di quel che sono, ma pare impossibile non evidenziare le diversità generazionali; i benefici della tecnologia riscuotono un prezzo molto caro: non esistono più la sorpresa, lo stupore, il fascino e, soprattutto, la magia. Perché dovrebbero spalancare la bocca davanti al presunto miracolo di Sasso Spicco quando possono avere tutto il mondo in pochi pollici touch screen? Parlo e mi sembro mio nonno. Il Santuario visto dalla partenza Il punto di partenza è la piccola località La Beccia, subito ai piedi del monte, antica porta di accesso al complesso monastico; da qui passavano a piedi, proprio come noi oggi, i viandanti e i devoti pellegrini che cercavano Dio fra questi boschi e fra le mura dell’antico convento. La salita è facile e presto lasciamo l’acciottolato che porta alla cappella del miracolo degli uccelli, per entrare nel bosco; il primo tratto è proprio sotto al grosso sperone roccioso su cui sorge il santuario, che da qui sembra ancora più maestoso. Poi veniamo avvolti dalla foresta, dai suoi alberi e dal suo silenzio e dopo pochi metri inizi a capire perché gli uomini di fede in epoca medievale cercavano luoghi di eremitaggio come questo; qui il ritmo è più lento, la natura ruba la scena e il Creato diviene protagonista. Ci si sente subito più piccoli e in questa dimensione di rinnovata umiltà, ci si avvicina inevitabilmente di più a Dio. Federico è stanco e mi chiede quanto manca; lo conforta sapere che manca mezz'ora. Facciamo una lunga sosta per foto, pipì, riposo e refrigerio. Quando riprendiamo Federico mi chiede di nuovo quanto manca e si stupisce quando gli ripeto mezz'ora. "Me l'hai detto anche prima..." Federico vorrebbe che fosse il santuario a venire da noi e non il contrario! Anche i ragazzi si stancano e sbuffano, quindi salutano con gioia l'acciottolato che conduce al Santuario. Quando penso che tutto sia dovuto ad un improvviso impeto mistico, scopro le terrene ragioni della loro gioia: le mamme hanno promesso che appena arrivati al Santuario mangeremo. Ma non voglio fare l’asceta, anche il mio stomaco borbotta. Consumiamo il nostro pasto acquistato in un altro tempio sacro, “Il Ghiandaio” di Pieve S. Stefano, e visitiamo La Verna. Lo sguardo disincantato dei miei compagni di viaggio non smorza l’entusiasmo di ritrovare ancora questo luogo sospeso fra la roccia e il cielo. Guardo nel bosco e mi sembra di vedere Francesco che mi sorride sornione e dice: “Ho scelto un bel posto, vero?” Francesco, Luca, Massimo e Giacomo. I miei compagni di viaggio sono Giacomo, Luca e Francesco. Giacomo sta diventando un ottimo compagno di viaggio: fisicamente regge benissimo, è difficile che lamenti la stanchezza e sale leggero; in discesa addirittura salta e corre ed io lo invidio e lo guardo con il sorriso sornione di chi si compiace della freschezza atletica del proprio figlio. Certo il mio ruolo istituzionale di padre rompiscatole mi impone richiami alla prudenza, ma li faccio senza convinzione e solo quando lui non può vedere la mia buffa espressione di padre orgoglioso. Quando cammina al mio fianco è un piacere parlare con lui: sta crescendo e la sua conversazione diventa sempre più interessante; devo ancora sorbirmi lunghe disserzioni sui videogiochi, ma la pazienza è ripagata con confronti teologici e domande che spaziano in tutto lo scibile umano, perlomeno quello adolescenziale, e mi compiaccio nel vedere che mi concede ancora un po’ di autorità, almeno affrontando alcune tematiche. A volte approfitto di queste concessioni millantando conoscenze che non possiedo, ma è bello avere ancora un posto di rilievo nel suo universo, anche se non più centrale come un tempo. Spero non si perda mai il gusto di camminare insieme nei boschi e mi auguro di riuscire a trovare il modo di fare qualche trek soltanto insieme a lui. Anche Luca e Francesco sono con noi ed è davvero un piacere. Luca è in forma è sale bene, apparentemente senza fatica e parlare con lui è un piacere; è davvero un buon compagno di viaggio e mi rammarico del fatto che non possiamo fare più spesso queste esperienze. Francesco è una sorpresa. Non sapevo amasse tanto la foresta; apprezza tantissimo la semplicità: più una cosa è semplice e naturale e più incontra la sua approvazione. Si entusiasma per una pesca comprata dal contadino e, da cuoco provetto, non disprezza affatto il menu del giorno, ovvero pane toscano e cacciatorini. Giunti nel pianoro della Lama si guarda intorno e, con una frase, centra il punto: “E tutto questo dovrebbe averlo creato un’esplosione casuale!” E’ anche per questo che adoro andare sui monti, perché per me è un modo per incontrare Dio. Non riesco a guardare questi paesaggi e non pensare che dietro tutto questo c’è il tocco del Maestro. Piatto ricco, mi ci ficco! E’ il 16 agosto, a Rimini fa caldo, un caldo afoso e umido; qua è un fresco delizioso e appena iniziamo la salita Luca si lamenta per il freddo. Io non sento il freddo, anche se ho pantaloni e maniche corte, il freddo è mio amico così come la montagna è mia amica; non sento il freddo, non sento la fatica e mi godo ogni istante che mi è concesso in questo bosco di faggi secolari. Da qui passano alcuni sentieri ed uno di questi porta a Camaldoli, poco lontano, ma non è il programma di oggi, oggi puntiamo in leggera salita a prato Penna e, dopo avere incontrato un altro crocevia ed altri trekkers, puntiamo verso il Gioghetto. La discesa alla Lama è leggerissima, quasi pianeggiante. La conversazione è ricca e piacevole. Solo il rettilineo finale che costeggia il fiume inizia a scendere più ripidamente; prati di equiseto annunciano il pianoro della Lama dove ci fermiamo per pranzare. Il posto è incantevole, c’è un rifugio in muratura, la fonte di Francesco e diversi tavoli sotto l’ombra dei faggi. Solo Luca è alla ricerca del sole e dopo pranzo si siede nel prato a fumare. Probabilmente è preoccupato che tanta aria buona faccia troppo bene ai suoi polmoni. Un’ora di sosta alla Lama è anche troppa, abbiamo percorso 9 Km in due ore, ma ci attende la risalita al rifugio: 500 metri di dislivello in 3 Km. Posa "plastica" ad inizio salita. L’inizio della scalata è deciso e la montagna mette subito le cose in chiaro: siete a casa mia quindi, silenzio e rispetto. Si sente solo il respiro affannoso, soprattutto il mio, e qualche battuta di tanto in tanto. Sosta e foto alla cascatella e sosta con foto al punto panoramico che si affaccia sul bacino della diga di Ridracoli. Non l’avevo mai vista da questo punto e anche se è abbastanza lontana risulta sempre imponente e bella. Solitamente le soste per scattare foto sono accompagnate da mugugni, ma lungo questa salita sono una scusa per riprendere fiato e i ragazzi si fermano volentieri. E’ Luca a salire in testa al gruppo e imprime un ritmo sostenuto. Nessuno gli chiede di rallentare, nessuno ha il coraggio di mollare. Sciocco orgoglio maschile. La pendenza cambia, la salita è più dolce, il bosco si apre e dopo poco vediamo fra gli alberi la sagoma del rifugio. Una stretta di mano, qualche pacca sulla palla, sorrisi compiaciuti e una foto con autoscatto, foto che ha il sapore di un trofeo. Giacomo. Sullo sfondo Sasso Simone. Nel XVI secolo i Medici decisero di sfruttare la morfologia del terreno per costruire una città fortificata inespugnabile. Scelsero la formazione rocciosa di Sasso Simone, raggiungibile tramite un unico sentiero, ed iniziarono a costruire sulla sua sommità una fortezza che sarebbe dovuta rimanere nei secoli. Purtroppo le difficoltà di accesso per gli eserciti invasori divennero un boomerang anche per il gruppo di ingegneri, costruttori e coloni: la città era troppo isolata ed impervia e, dopo qualche tentativo e qualche inverno di stenti, il progetto fu abbandonato definitivamente. Oggi Sasso Simone è al centro del Parco Nazionale di Sasso Simone e Simoncello ed è la metà principale per gli escursionisti che arrivano dal versante romagnolo o marchigiano. Le sue pareti ripide sembrano costruite per i free-climber e l'antico acciottolato mediceo resta l'unica via per raggiungere il pianoro erboso al centro del quale domina un'unica costruzione di opera umana: la croce in ferro. Che coppia! Miei compagni di viaggio oggi sono Roberta, Giacomo, Emilio ed Ilaria. Partiamo da case Barboni e puntiamo diritti al Sasso su un sentiero poco bello, per un amante del freddo e dei boschi come me. La strada non è difficile, ma prevalentemente rocciosa e allo scoperto. Mi sembra di andare al Monte Fato. La giornata è calda e l'assenza di ombra non facilità il trek. Ai piedi del Sasso però. siamo premiati da un panorama maestoso e dall'incontro con il grande faggio, guardiano secolare del sentiero che conduce all'ultima salita. Il tempo di scattare qualche foto e ritemprarsi sotto le fronde del faggio (finalmente un po' di ombra) e saliamo sull'antica carreggiata. Qua e là si trovano testimonianze del tentativo di insediamenton di epoca rinascimentale: un muretto, il basamento della chiesa, un paio di pozzi, una fornace, tutto ricoperto di muschio e foglie; le radici scalzano le pietre e la foresta si sta riprendendo quello che la mano umana ha cercato di toglierle. Una sconfitta dell'uomo, messo in ginocchio da una forza superiore. Pare che la natura stia dicendo: io ero qui prima di te e ci sarò per tanto ancora, dopo che te ne sarai andato; qui tu sei solo un ospite di passaggio. |
Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
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