Ogni tanto serve un bel bagno di umiltà. Quest’anno avevo programmato il mio trekking di 4 giorni insieme a mio figlio, ma nulla è andato per il verso giusto dal primo momento. Per prima cosa Giacomo si è procurato un problema a ginocchio e caviglia cadendo con lo scooter: fuori uno. Pazienza. Poi si sono aggiunti i miei vecchi compagni di viaggio Marco e Giacomo. Felicissimo della loro partecipazione e per favorire la presenza di Marco ho dovuto ridurre il programma da 4 a 3 giorni. Pazienza. Poi Marco ha avuto un contrattempo e non ci ha potuto raggiungere se non nel tardo pomeriggio, quindi il primo giorno abbiamo camminato solo io e Giacomo. Pazienza. Poi, dopo pochi metri all’inizio del secondo giorno, Giacomo ha abbandonato per un problema al ginocchio. Pazienza. Quando io e Marco eravamo quasi giunti a fine percorso, ci siamo trovati davanti l’ostacolo della neve che ci ha impedito la salita alla Burraia, riducendo ulteriormente il trekking da 3 a 2 giorni. Pazienza. E così la tanto agognata Marradi-La Verna è diventata mestamente Marradi-Campigna. Insomma, due cose ho imparato da questo trekking: nella vita ci vuole fortuna e ci vuole pazienza. Non posso prendermela però solo con madre natura, ma piuttosto con me stesso che, come scritto ad inizio post, avevo evidentemente bisogno di un bagno di umiltà. Quest’anno infatti ho pianificato un percorso da maratoneti riducendo a 4 tappe un percorso che l’Alta Via dei Parchi disegna in ben 6 tappe. In particolar modo il secondo giorno del mio programma prevede un tour de forces improponibile da San benedetto in Alpe alla Burraia, 13 ore di cammino per circa 33 chilometri. Sarà vero che “impossible is nothing” ma è anche vero che “I am a pirla”. Mi rendo conto del mio piano impossibile già alla prima tappa. Unisco le tappe Marradi-Lago di Ponte con la tappa Lago di Ponte-San Benedetto, che prevederebbero 9 ore di cammino totale per 26-27 chilometri circa di percorrenza. Pianifico una scorciatoia (che manco clamorosamente) ed a fine percorso mi fido di Marco (e non della carta…) il quale si improvvisa guida ed allunga la strada di almeno un chilometro circa, allungamento che nelle nostre condizioni pare interminabile perché io e Giacomo abbiamo già dato tutto, o quasi, sul Cozzo del Diavolo (in nomine nomen), uno strappo i cui ultimi metri abbiamo percorso aggrappandoci letteralmente agli alberi. Arriviamo a San Benedetto alle sette di sera, dopo 10 ore di cammino. Una doccia e una meravigliosa serata nel ristorante dell’albergo locale riportano in alto i nostri cuori ed anche l’ago della mia bilancia: divoro una porzione di pappardelle che stenderebbe anche Obelix e non mi arrendo nemmeno davanti ad una grigliata con porzioni doppie. Passo la notte insonne inseguito dal cinghiale utilizzato per condire le pappardelle e svegliato costantemente da Marco, trasformatosi per l’occasione in una motozappa a causa del raffreddore. Pazienza. Il mattino successivo scegliamo una scorciatoia codarda e grazie alla cortesia del locandiere raggiungiamo il Passo del Muraglione in auto e non a piedi, come previsto dal mio folle ruolino di marcia. Al Passo il morale è alto, la giornata splendida e c’è tanta voglia di affrontare la tappa che si chiuderà al rifugio "Città di Forlì" della Burraia, dove ad attenderci c’è un’altra deliziosa cena spacca panza. Ma le cose si mettono male da subito e Giacomo abbandona dopo pochi metri a causa del suo ginocchio ballerino. Forse la tappa di ieri lo ha stroncato. Proseguiamo io e Marco cercando di mantenere alto il morale e attraversiamo un tratto del Parco che non conoscevo ma che apprezzo da subito. Da Marradi a Lago di Ponte non ho amato molto il paesaggio, ma qui si vede subito la differenza e l’avvicinamento a Castagno d’Andrea avviene in un panorama meraviglioso. La fatica si fa sentire ma la salita è graduale e riusciamo abbastanza agevolmente a raggiungere il rifugio del Borbotto. Qui incontriamo un ciclista che, con accento toscano e tono impietoso, distrugge le nostre ultime speranze di salvare il trekking annunciandoci neve alta sul Falterona. Puntiamo su Piancancelli e ci rendiamo subito conto che il ciclista ha ragione. Penso a quanto sarà difficile arrivare in cima e soprattutto guardo in prospettiva la giornata di domani: 24 chilometri fra i 1000 e i 1500 metri con neve alta a terra e pioggia dal cielo. In queste condizioni non ha nessun senso proseguire. Chiamo Roberta , che sarebbe dovuta venire a prenderci il giorno dopo a fine tappa e le chiedo se può anticipare di un giorno. Inutile pagare una notte supplementare d’albergo in questo clima di sconforto. È la mia Caporetto, mi auguro solo di fare tesoro di questa lezione.
0 Commenti
Lascia una Risposta. |
Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
|