Almeno una volta all'anno le Piadine Randagie vorrebbero concedersi quella che Gabriele definisce la nostra "gita fuori porta". Lo scorso anno abbiamo cambiato regione sbarcando nel meraviglioso Abruzzo, invece oggi risaliamo la dorsale appenninica e rimaniamo in terra emiliana, raggiungendo il rifugio Capanno Tassoni nel modenese. La nostra avventura inizia a bordo di una poco proletaria Tesla perché, per mia grande sorpresa e gioia, ha accettato l'invito mio cugino Giacomo mettendo a disposizione delle PR la sua avveniristica auto. Uno dei motivi che mi ha segretamente spinto a proporre questa escursione è stato il desiderio di camminare nei luoghi della Resistenza e trovo un po' buffo arrivarci con un'auto che non potrò permettermi in 100 anni di risparmi. Questo contrasto diventerà il leitmotiv di questo trekking lontano da casa. Un paio di anni fa Enrico Brizzi firmò un articolo su Meridiane Montagne intitolato "Da ragazzo è stato in montagna", nel quale descriveva proprio i luoghi che stiamo per visitare. L'espressione è stata usata per decenni per indicare gli uomini che avevano lasciato tutto per salire sui monti ed unirsi alla Resistenza partigiana, un manipolo di cuori coraggiosi che credevano in un ideale, ragazzi giovanissimi che erano disposti a sacrificare le loro vite con spirito nazionalista. Persone di tante estrazioni sociali accomunate dal desiderio di spezzare il giogo fascista e scacciare i tedeschi divenuti invasori nel tempo di una firma. Le loro affascinanti storie sono le stesse che troviamo descritte lungo tutta la Linea Gotica, dalle spiagge di Massa Carrara a Pesaro, passando per queste montagne e per le tanto amate cime delle Foreste Casentinesi. Oggi di quel sogno non è rimasto nulla, solo i sentieri battuti da scarponi bucati e qualche targa commemorativa che leggiamo facendo il verso ai toni enfatici dei cronisti del ventennio. Di quel sogno non è rimasto nulla perché è un sogno tradito che si è spento come una bugia portandoci a camminare sui passi degli eroi senza sapere e senza rammentare, perché il vento che ha spento quella candela è il soffio del tradimento, il traviamento di quegli ideali che ha ucciso due volte i giovani partigiani. Dopo una bella serata in compagnia a mangiare zuppa montanara e tigelle, partiamo di buon'ora dalla base partigiana salendo il bosco che copre il fianco della montagna. Il tempo è perfetto, il cielo è sgombro di nuvole e ci godiamo gli ultimi metri di ombra sapendo che lasciando gli alberi saremo esposti ad un impietoso sole di inizio estate. Il cammino scoperto è ripagato da viste meravigliose su questi pascoli alti che ci portano a camminare come funamboli su corde di terra, in bilico fra Emilia e Toscana. Ci concediamo la prima vera pausa al rifugio Duca degli Abruzzi, un imponente edificio in pietra che sorge in punto scoperto e panoramico accanto al minuscolo lago Scaffaiolo. Prima birra di giornata per gli amici. La traccia di Gabriele prevede il rientro in discesa ma nessuno ha voglia di chiudere un anello così breve, quindi procediamo verso la croce di Punta Sofia sul Corno alle Scale. Il percorso non è difficile ed è caratterizzato da assenza di ostacoli alla visuale. Sarei voluto salire dagli affascinanti Balzi dell'Ora ma non è stato possibile e raggiungiamo i 1945 metri della vetta dal criniale opposto. Contro il codice etico delle Piadine torniamo sui nostri passi e riprendiamo l'anello puntando verso il secondo rifugio di giornata, dove i miei compagni di viaggio fanno un provvidenziale rifornimento di birra: se i tedeschi non hanno vinto su queste cime, sembra comunque lo abbia fatto il loro nettare al malto d'orzo. Meglio questo che i cannoni e i fucili. Ritrovata la traccia del mattino camminiamo lungo il costone che lambisce il bosco e dopo un paio di guadi saliamo su una sella che ci porta in picchiata verso il punto di partenza. Io percorro gli ultimi due chilometri senza godermi questo bel sentiero in faggeta perché ho un solo pensiero: togliermi gli scarponi. Salutiamo queste spettacolari cime e Giacomo, incosapevole delle mie riflessioni, inserisce nella play list "Comunisti col Rolex", il beffardo rap nel quale J-Ax canta i miei pensieri dichiarando "sono Partito Comunista ma non ci sono arrivato", facendo il verso con il suo "bella ciaone" a quel "Bella Ciao" che divenne l'inno di un movimento che sputò in cielo per ritrovarsi imbrattato della propria saliva. Buffo ricordare che anche quell'inno è un canto rubato, una ballata yiddish importata e sottratratta dai partigiani alle mondine per farlo divenire canto di guerra da canto di pace mano a mano che saliva dalla piana alla montagna. Ma non ce la faccio a dimenticare tutto, non voglio anch'io infangare la memoria del sacrifico, allora chiudo gli occhi e il mio pensiero vola su ali d'aquila fino a quelle cime dove quel giovane che era salito in montagna non per passeggiare ma per liberare un Paese, mi ha regalato la sua vita per permettermi di camminare su una terra di pace dove i proiettili sono diventati ciliege.
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Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
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