Avevo ricevuto l'immancabile invito di Gabriele ma non ero certo di riuscire, quindi fino all'ultimo non confermo la mia presenza. Poi la situazione si sblocca e non rinuncio all'escursione randagia. Esco da un lungo letargo ed ho davanti a me la prospettiva di un lungo trekking di 5 giorni sulle Alpi in agosto, quindi sto intensificando la preparazione e colgo al volo l'opportunità offertami. Nel lunghi mesi invernali di ozio forzato ho maturato un fisico da campionato nazionale di castelli di sabbia ed oggi pagherò un caro dazio. Gabriele ha scelto un anello non troppo lungo all'attacco di due cime ed a fine giro ci ritroveremo con 1400 metri dislivello complessivo sulle gambe. Le previsioni sono confermate ed il cielo è completamente sgombro. Temo un po' il caldo ma la giornata è comunque fresca e ventilata, tempo ideale per questo spavaldo hike. La prima conquista di giornata è il Monte Le Gronde (1373 metri slm). Le gambe sono fresche e tutti salgono senza troppo affanno. Anche se arrivo sulla cima in coda alla fila sto bene. La vista è bellissima ed ammiriamo da terra eugubina le cime del Nerone e del Catria, tanto amate dagli amici delle PR. Da questa vetta minore guardiamo negli occhi la vera sfida odierna, quel Monte Cucco che dall'alto dei suoi ragguardevoli 1566 sembra attenderci come un gigante dormiente. Iniziamo così una lunga discesa attraverso la foresta per sbucare a Pian delle Macinare, che immagino in estate venga invasa da vocianti comitive di gitanti domenicali. Io guardo in alto e scruto pensieroso la cima del Monte, che da qui risulta essere particolarmente lontana. Ci lasciamo alle spalle il rifugio ed il pratone per imboccare il sentiero che aggira completamente il masso. SI tratta di una manovra di accerchiamento che serve a rendere meno difficile la salita, ma che ci impone una lunga discesa verso il guado di Fonte Fredda in un punto depresso a 950 metri slm. Da questo punto in poi abbandoniamo una bellissima foresta, all'altezza dell'amato Casentino, per iniziare la lunga salita che per prati scoperti ci porterà fino alla cima. Fino alla forestale alla base dell'ultimo strappo salgo senza troppo affanno, ma da questo punto in poi incomincio a perdere il contatto con il gruppo. Guida la fila Claudio nelle vesti di Legolas mentre io arranco come Gimli sbuffando e trascinando la mia culatta. La salita si fa dura all'imbocco dell'ultimo strappo, dopo che abbiamo incrociato un altro gruppo di 4 escursionisti che hanno appena percorso al contrario la nostra via. Il sentiero è completamente scoperto e ventoso, quindi mi fermo per fissare allo zaino il cappello a larga falda che altrimenti perderei. Quando alzo gli occhi i tre amici sono già puntini lontani. Riparto con il mio passo caracollante e li raggiungo stremato alla croce di ferro, per scoprire che è stata eretta da dei malati di mente, infatti non indica la cima come tutte le croci poste in vetta ai monti di tutto il pianeta, ma un dosso minore. Evidentemente la fede dei buontemponi che l'hanno eretta si è esaurita durante la salita e, arrivati su questo dosso, hanno alzato gli occhi e vedendo la cima ancora lontana, non hanno trovato la forza di metterla dove si erano posti in obiettivo di farlo e, pur di non riportarla a fondo valle, hanno deciso di piantarla in questo punto insensato ed anonimo. Questa almeno è la mia disamina. La cima del Monte Cucco infatti, se dalla piana sottostante pare disegnata da un bambino con la sua sommità lineare e tradizionalmente parabolica, in realtà percorsa a piedi risulta invece essere stata disegnata dal Padre Eterno in un giorno nel quale era in vena di scherzi, infatti si arriva in cima saltellando su balze irregolari che offrono sempre l'idea illusoria di essere arrivati senza esserlo realmente. Dalla nominata croce alla vetta inizia infatti la mia Via Crucis con tre canoniche soste a riprendere fiato, immancabilmente immortalate dall'impietoso Gabriele, il quale rivenderà la terza foto al Duomo di Torino dove verrà esposta in una teca, non per i fedeli ma per il pubblico ludibrio. I muscoli della coscia sinistra diventano duri come la pietra e proseguo con l'agilità di Gambadilegno. Con ragguardevole ritardo giungo anche io sulla cima dove gli amici consumano avidamente il pranzo a base di panini e salsicce. Io mangio una barretta e due noci ma non riesco a mettere altro nello stomaco. Nello sforzo della salita ho provato una nausea che ho potuto alleviare solo con emissioni orali rilevate dai sismografi. All'inizio della discesa le cose vanno un po' meglio, anche se l'impietoso Claudio continua ad imprimere all'escursione il ritmo di una corsa campestre. Inizialmente riesco a blandire i compagni di viaggio con il mio eloquio, ma poi alla lunga si rompono le scatole sia della mia lentezza che delle mie inutili ciance e mi abbandonano nuovamente, mentre nella ripida discesa nuovi crampi aggrediscono la muscolatura bassa. Più che un trekking sembra una lezione di anatomia. Giunto allo stradello cammino a passi lunghi e ritrovo un generale senso di benessere, legato all'appagamento di essere riuscito a portare a termine un percorso impegnativo in un periodo di ripresa. In sintesi, sono stanco ma felice. Lunedì farò molta più fatica, una fatica diversa, decisamente minore ma al contempo anche molto meno appagante. Foto reportage di Gabriele
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Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
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