La chiesa di Pietrapazza. Amano tutti il trekking, ma quando è ora di mettersi gli scarponi e attaccare una salita il numero di amanti della montagna si sfoltisce considerevolmente. Per il trek di oggi ne ho invitati parecchi ma è una pioggia di giustificazioni, tipo giorno di compito in classe. Alla fine risponde “presente” solo l’inarrestabile Andi e quindi ricostituiamo la coppia gay di novembre. Dopo avere commesso l’errore di non sfruttare un paio di meravigliose giornate di sole capitate ad inizio anno, quando ancora ero in ferie, sono rimasto bloccato a casa per altri tre mesi; sommando questa sosta a quella pre-natalizia, sono circa cinque mesi che non vengo a rifarmi gli occhi, a ritemprarmi il fisico ed a ristorarmi l’anima sui miei amati monti tosco-romagnoli. Per questa grande rentrée non sono disposto ad un piccolo percorso alla portata di tutti, ma voglio farmi proprio un bel giro, voglio sfogarmi e tornare a casa con le ossa rotte e i muscoli indolenziti. Più avanti magari sarò disposto ad un giro più soft, ben disposto a coinvolgere famigliole ed amici meno allenati. Oggi è Trekking vero, con la T maiuscola. L’orario di partenza da casa non spaventa affatto il mio compagno di giornata, per il quale ho scelto un percorso ad hoc, conoscendo la sua passione per i panorami e i belvedere. Meeting point alle 7, sosta cornetti e alle 8,45 parcheggiamo vicino alla chiesa di Pietrapazza. Il tempo di prepararsi in tutta calma ed iniziamo la salita verso Siepe dell’Orso. Il termometro dell’auto segna sette gradi sotto lo zero, ma sembra poco verosimile; in effetti non posso dire che faccia caldo ma il “meno sette” mi sembra eccessivo. Questa volta, al contrario del solito, siamo fortunatissimi e la giornata è meravigliosamente limpida, unica finestra di bel tempo in mezzo a giorni piovosi ed ancora rigidamente invernali. Il paesaggio infatti è ammantato da una spolverata di neve fresca, caduta il giorno precedente, ma non ostacola il cammino, direi piuttosto che lo impreziosisce come fa lo zucchero a velo sul pandoro. Saliamo in mezzo ad alberi spogli di foglie e ricoperti di neve cristallina che brilla al discreto sole di marzo; vedere questa tela di ragno bianca, sullo sfondo blu intenso, dono di un cielo limpido e terso, mi riempie gli occhi fino a commuovermi. Oggi madre natura ha deciso di farci davvero un bel regalo, e non sarà l’unico. Arrivando in auto avevamo incrociato a fondo valle tre daini, dei quali uno bianco, che si erano arrampicati sul costone roccioso con leggiadria ed eleganza, proprio sotto i nostri occhi spalancati da uomini di città. Quasi giunti a Siepe dell’Orso, Andi non rinuncia ad un classico scherzo da caserma: proprio mentre passo sotto un ramo carico di neve, lo squote coprendomi di bianco; mi chino a protezione della macchina fotografica che ho in tasca e la neve si infila fra coppetto e colletto della giacca, scivolandomi lungo la schiena. Si deve essere indulgenti con i ragazzini, soprattutto se sono pirla. Lo scherzo ha un effetto tonificante però: l’ultimo strappo mi stava mettendo in difficoltà ed iniziavo ad essere abbastanza stanco. In effetti ci stiamo avvicinando a quota mille metri e, inevitabilmente, aumenta lo spessore di neve presente sul terreno, rendendo più difficile il cammino. Andi sulla neve fresca della strada forestale. La neve non è tanta ma è sufficiente a coprire eventuali pericoli, quali radici, sassi instabili o pietre scivolose. Giunti sulla forestale che ci porterà alla cima Coppi odierna, il cammino si fa più facile: il pendio è più dolce e il sentiero più sicuro, battuto negli anni dai pochi mezzi autorizzati a percorrerlo. Raggiungiamo un belvedere dal quale possiamo ammirare, sotto di noi, la valle di Pietrapazza. Sentiamo abbaiare un cane e lo vediamo, lontanissimo, rincorrere un daino lungo il crinale. Poco dopo altri tre daini attraversano veloci la strada forestale, provenenti da fondo valle. Questo fa salire a quota sette gli avvistamenti di giornata. Proseguiamo sulla forestale e la abbandoniamo per pochi minuti, solo per salire sul poggio che ospita la Maestà di Valdora ed ammirare il paesaggio. Mentre stiamo per raggiungere la prossima tappa, sentiamo un rumore improvviso ed Andi compie un salto che fa trasalire anche me: il cane che avevamo visto a centinaia di metri sotto di noi gli è passato accanto sfrecciando velocissimo; ignora la nostra presenza e prosegue la sua corsa lungo la strada forestale. Sul sentiero abbiamo incontrato tantissime impronte canine, attribuendole ai lupi ed escludendo che un cane si aggirasse a questa quota: cosa ci fa un cane quassù, tutto solo? Presto troviamo risposta alla nostra domanda. Davanti alla chiesa di Casanova dell'Alpe. Finalmente raggiungiamo Casanova dell’Alpe, antico borgo di case con tanto di chiesa e cimitero, punto di aggregazione della comunità montana che abitava in questa zona fino al completo abbandono nel dopoguerra. Oggi Casanova è completamente ristrutturata ed è frequentata nella bella stagione. Anche oggi c’è qualcuno e, dopo essere passati vicino ad un’auto parcheggiata, incontriamo una coppia seduta davanti al portico di una casa. Sono i proprietari del cane e stanno prendendo la prima tintarella del 2013. Facciamo una piccola sosta per ammirare il superbo panorama che si vede da Casanova: sotto di noi c’è la foresta della Lama, in lontananza la cima di Monte Penna e, spiego ad Andi, oltre il crinale sud, l’invaso della diga di Ridracoli. Iniziamo la discesa che ci riporterà a fondo valle ed incontriamo diversi ruderi di antichi insediamenti urbani; la fame di terra del XIX secolo aveva portato parecchi coraggiosi a cercare fortuna fra queste cime poco ospitali: allevatori, agricoltori, boscaioli e carbonai devono avere vissuto una vita non facile su questi monti. Oggi resta solo il fantasma della loro memoria, mentre si passa vicino ai muri diroccati e alle travi abbattute di quelle che sono state la loro dimora di un tempo. Qualcuno al Trogo ha restaurato il forno e, più a valle, incontriamo il primo casale ristrutturato e abitabile: Cortine di Sopra. Dopo l’ennesimo incontro con altri daini, scendiamo ulteriormente e giungiamo al Molino delle Cortine, un esempio intelligente di ristrutturazione. Il molino oggi è gestito dall’associazione “Esplora Montagne” ed è sede ideale per campi scout o gruppi similari. Sono cinque ore che camminiamo, sono le due del pomeriggio e incominciamo a sentire un certo languore. La programmata sosta all’area attrezzata di Ponte del Faggio casca a fagiolo. E’ tutto il giorno che ci portiamo sulle spalle pane, salsicce, carbone e griglietta da campeggio ed è ora di usarli per lo scopo prefisso. Accendiamo il fuoco ed in poco tempo le nostre narici si riempiono dell’inebriante profumo della salsiccia arrostita sulla brace. Sarà il dispendio di energie, sarà il fascino del luogo, sarà la soddisfazione del meritato premio, ma ci gustiamo una delle più memorabili grigliate della nostra vita. Sembriamo due bambini la mattina di Natale. E’ proprio una bella giornata. Una grigliata davvero speciale! Dopo quasi un’ora di sosta riprendiamo la strada che ci riporta alla chiesa di Pietrapazza. Il quadro è completamente diverso, il sole ha sciolto tutta la neve restituendoci una natura ed un paesaggio non meno suggestivi. Sul prato antistante la chiesa ritroviamo un qualcosa già visto anche vicino a Ponte del Faggio, altra testimonianza della numerosa fauna locale: i cinghiali hanno arato tutto con le loro zanne, alla ricerca di qualcosa di commestibile sotto il terreno. Mentre torniamo in auto verso Poggio alla Lastra, commentando i mancati incontri con lupi e cinghiali, contiamo le fugaci visioni di daini; proprio in quel momento ci attraversa la strada l’ennesimo daino: è il più vicino di oggi, risale il versante a monte, ma non fugge come gli altri, sosta a quattro o cinque metri sopra le nostre teste, consentendoci di ammirarlo in tutta la sua bellezza. Risaliamo in auto e riprendiamo la conta dei daini. Andi si ferma, mi chiede di arrestare l’auto e si volta verso di me con gli occhi sbarrati chiedendomi: “Massi, quanti ne vuoi?” Inizialmente non comprendo il senso della sua domanda, ma mi basta voltarmi a sinistra per capirne il significato: sul campo, a lato della strada, brucano l’erba circa quindici ungulati! Alla nostra vista scappano e si inerpicano sulla montagna; riesco a scattare qualche foto, ma il risultato non è soddisfacente. Riprendiamo la strada di casa e Andi avvista un altro branco, questa volta grande almeno il doppio; si arrampica su un poggio e scatta alcune foto. La qualità non è eccelsa, ma la testimonianza fotografica è inconfutabile: negli scatti ne contiamo circa trenta. Non siamo più in grado di dire quanti ne abbiamo visto oggi: 50, forse 60! Per questo e per tanti altri motivi, è stata una giornata davvero memorabile.
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Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
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