Oggi mi è stato fatto "dono" di un inatteso giorno di ferie e decido di sfruttarlo prendendomi la giornata tutta per me e andare a camminare tutto solo per i monti. Dall'escursione del primo giorno dell'anno non ho più avuto possibilità di fare trekking e colgo l'occasione al volo. Solitamente, quando controllo il meteo, trovo profezie funeste di piogge e temporali, salvo poi scoprire, una volta rimasto a casa dissuaso dalle previsioni avverse, che la giornata è stata bellissima. Oggi le previsioni non sono bellissime, ma non è nemmeno prevista pioggia, solo un cielo coperto da nuvole. Sono i primi di marzo, non posso pretendere di trovare già un bel sole primaverile e mi accontento di un cielo cupo in questo colpo di coda di un inverno tutto sommato mite. Mai previsioni furono più cannate. Alle 7 salgo in auto alla volta di Camaldoli, deciso a godermi la mia giornata in solitaria. Ho scelto di fare un sopralluogo sul sentiero che ho in calendario con il gruppo del web per il 22 di questo mese; da tempo abbiamo fissato questa uscita ed ho preparato proprio un bel programmino: partenza dal borgo di Camaldoli, salita fino al rifugio Cotozzo per proseguire fino al Poggio Tre Confini, svolta per Prato Penna fino a Gioghetto, discesa all'eremo e risalita fino a Croce Gaggi, da qui discesa verso il punto di partenza passando per il Sentiero dei Tedeschi. 18 chilometri in mezzo a una foresta meravigliosa, toccando tappe tradizionali per i trekker casentinesi. La pignoleria e la serietà, unitamente al senso di responsabilità che provo nei confronti di ragazzi che mi affidano il pesante ruolo di guida, mi portano a decidere di testare il percorso. Non che non conosca questi sentieri, ma questo trek non l'ho mai fatto così come programmato e non voglio fare errori. La mia prudenza verrà ripagata. Giunto sul passo dei Mandrioli scopro la presenza di un fattore che avevo disatteso: la neve. Non pensavo che ne avrei trovata e spero che il problema sia circoscritto al passo. Scendo fino a Camaldoli e inizio a camminare su un sentiero completamente sgombro. Sento improvvisamente un rumore alla mia sinistra e mi volto di scatto: è un battito d'ali e vedo alzarsi in volo un bellissimo uccello; sembra un rapace e lo fotografo con la mente. Tornato a casa lo cerco sul web e scopro che probabilmente si tratta di un nibbio. Mano a mano che salgo trovo sempre più neve e scopro tantissime tracce di animali. E' il momento dell'etologo e provo a identificare le impronte come un Kit Carson da strapazzo. Credo di riconoscere daino (facile), cinghiale e lupo (probabili), volpe (un piccolo canide) e forse anche cervo quando trovo uno zoccolo ampio e profondo. Trovo anche un'impronta che non conosco, che non avevo mai visto prima. Provo ad ipotizzare che possa essere tasso e, tornato a casa, trovo conferma online. Tracce tante, ma di animali veri nemmeno l'ombra, solo un fesso che sale sbuffando in mezzo alla neve arrancando a fatica, e quel fesso sono io. Quando scorgo la sagoma del rifugio Cotozzo sono già cotto e condito: salire nella neve mi taglia le gambe ed evidentemente non sono abbastanza allenato. Cammino quasi ogni giorno, ma 5 chilometri nel parco non sono abbastanza se raffrontati alle fatiche a cui mi sottopone la montagna innevata. Non avevo mai visto il rifugio sommerso dalla neve e, anche se il panorama ne guadagna, il trekking ne risente in negativo. Alla neve, che mi rallenta e rende instabile il passo, si aggiunge la presenza di numerosissimi tronchi abbattutti lungo il sentiero. Ogni volta che li scavalco, agile come un bradipo imbolsito, mi viene alla mente una scena del film "Sotto un buona stella", quella in cui Verdone scavalca una ringhiera per raggiungere il terrazzo della Cortellesi. L'attrice lo guarda con biasimo e lo apostrofa con un ironico "sei un gatto". Mi sento come Verdone e ad ogni superamento di tronco mi sfugge un sorriso mentre ripenso alla coppia di comici. Non ho percorso nemmeno due chilometri, ma sono già salito di circa 300 metri di dislivello. Il problema sta nel fatto che avrei in programma di arrivare ai quasi 1400 metri di Poggio Tre Confini e le difficoltà che ho incontrato fino ad ora frustrano i miei piani. Che fare, proseguo in salita come da programma o rinuncio tagliando verso l'eremo? Con un moto d'orgoglio decido di affrontare il sentiero innevato e tento la salita fino al poggio. Arrivo arrancando fino ai 1250 di Poggio Brogli e faccio un'altra sosta per riposare e valutare il da farsi. Decido di non demordere e mi spingo ancora lungo il sentiero programmato. Giunto sul Cotozzino perdo la protezione delle altre cime e mi trovo esposto alle folate di vento che tagliano sempre questo tratto. In estate è un piacere, ma ora la neve è alta circa 40 cm e la gamba affonda fin quasi al ginocchio. Al vento si aggiunge una precipitazione nevosa che non era affatto prevista e, in breve, mi trovo nel mezzo di una tormenta. E' a questo punto che decido di mollare. Che senso ha proseguire in queste condizioni avverse? Cosa devo dimostrare e, soprattutto, a chi? Vengo in montagna per divertirmi e, in questo momento, non mi sto divertendo affatto. Decido di battere in ritirata e tornare sui miei passi per prendere il sentiero che dal Cotozzo conduce all'eremo. Sono sconfitto, come Gandalf e la compagnia dell'anello sul monte Caradhras. Questo tratto, quasi interamente pianeggiante, solitamente lo percorro con facilità, ma oggi la neve rende difficile anche questa "vasca" in mezzo alla foresta. Lungo la via, con mia grande sorpresa, incontro due signori che camminano in senso opposto al mio. Oltre ad essere una giornata infame è anche un giorno feriale ed è una sorpresa imbattermi in altri escursionisti. Uno dei due ha le ciaspole sulle spalle, invece l'altro usa degli sci da fondo. "Pensavo di essere l'unico matto oggi", gli dico quando li incrocio. Il signore con le ciaspole sulle spalle mi risponde: "E invece siamo tre matti". L'unico aspetto positivo di percorrere questo tratto in questa stagione sta nel fatto che, grazie allo scongelamento, Fontana Duchessa è generosissima di acqua sorgiva limpida e fresca. Sosto per abbeverarmi e proseguo fino alla strada asfaltata. Negli ultimi metri di sentiero non vedo l'ora di raggiungere la strada che, essendo stata pulita dal gatto delle nevi, mi risparmierà la fatica che ho fatto sul sentiero per 5/6 chilometri. Frustrata anche questa mia speranza: lo stradello non è stato pulito e trovo sull'asfalto 20 centimetri di neve intonsa. Si continua a faticare. Giungo all'eremo in riserva (che onta), e faccio una sosta ristoratrice allo spaccio comprandomi una barra di cioccolata prodotta dai monaci. Certo.... Il programma prevederebbe la salita a Croce Gaggi, ma al solo pensiero della parola "salita" ho un mancamento. Devo decidere come tornare a Camaldoli: c'è il sentiero classico, circa tre chilometri nel bosco, oppure i sette chilometri di strada asfaltata. Mentre valuto il da farsi riprende a scendere la neve. Oggi non vuole proprio andare. Opto per la strada sgombra e procedo a passo spedito sull'asfalto. Solitamente odio camminare sulla strada, ma oggi riesco ad apprezzare anche questa camminata. Sono pur sempre in mezzo al bosco, l'importante e non affrontare più la neve. Quando più in basso incrocio il sentiero 72 sono ormai sceso di quota e la neve non è più un problema, decido quindi di imboccarlo in ossequio al mio codice da trekker: quando posso evito l'asfalto come la peste. La discesa non è comoda, causa nevischio e fango, ma è nulla in confronto al mio Caradhras. Anche oggi ha vinto madre natura.
2 Commenti
10/3/2014 10:46:55 pm
E' bello leggere delle tue esperienze, grazie di condividerle con noi.
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Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
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