È diventata una bella tradizione quella del giro estivo organizzato da Alessandro, e mi unisco con piacere a questa traversata in alta quota. Purtroppo gli impegni tengono lontani molti membri dei due gruppi di Rimini e Faenza, quindi alla partenza ci presentiamo soltanto io, Alessandro, Dona e Andrea. Il programma prevede la scalata, l'attraversamento e la discesa dal massiccio del Sella, un panettone di roccia che attrae molti amanti della montagna. Dopo un interminabile viaggio diviso in due tappe, con sosta notturna ad Avio, soltanto alle 12 siamo in grado di mettere gli scarponi ai piedi al parcheggio della funivia del Passo Pordoi. Mentre i più bighellonano all'ombra del gigante, molti salgono sul sasso grazie alla funivia. Sono solo pochi i folli che attaccano a piedi le rampe che portano alla forcella e mentre salgo ne comprendo il motivo: la salita è lunghissima, parte in leggera pendenza per aumentare sempre di più il dislivello, contestualmente al coefficiente di difficolta. Il ghiaione rende incerto ogni passo. Mi lascio presto alle spalle gli amici di Faenza, partiti al piccolo trotto, quindi ho tanto tempo per riflettere mentre sbuffo sul fianco della montagna. In questo peregrinare solitario ho molto spazio per ragionare in isolata meditazione e due principali riflessioni occupano la mia mente. La prima delle due è la seguente: "L'unica salita impossibile è quella che scegli di non affrontare" Ne sono profondamente convinto. Certamente esiste un limite a ciò che possiamo realizzare, ma penso che molte volte ci lasciamo vincere dalla pigrizia, dalla poca stima, dallo scoraggiamento, dall'autocommiserazione e dalla paura, abbassando l'asticella del nostro limite reale. La montagna mi impone il confronto con me stesso, con i miei limiti e le mie insicurezze. È davvero un maestro muto e nel silenzio cerco di imparare la lezione. Tentare non costa nulla e il vero fallimento è rinunciare, darsi per sconfitti in partenza. La seconda e più profonda riflessione che affiora alla mia mente, mentre sudo chino sotto il peso del mio zaino è: "Ma quanto bip costava il biglietto della funivia?" Mi sono fermato due volte, una per mettere una ginocchiera a braghe calate, e la seconda per indossare una maglia perché i gradi scendono in modo inversamente proporzianale al salire dei metri. A pochi passi dalla cima mi raggiunge Andrea, fresco come una rosa. Saliamo l'ultima rampa aggrappati a una cima gelata a causa della neve che non vuole sciogliersi nel canalone sotto la forcella. Il rifugio del Passo pare una reggia e il panino con il wurstel sembra un pasto da re. Ricompattate le fila proseguiamo verso il rifugio Boè, evitando di salire la cima dell'omonimo Pizzo, a causa del poco tempo a disposizione. Col senno di poi mi rammarico per questo traguardo solo sfiorato. La mancata salita a Capanna Fassa rende l'opera incompiuta, ma questo mi offre lo spunto per decidere di tornare. Dopo una piacevole serata al rifugio e un sonno ristoratore, riprendiamo la nostra traversata tagliando l'altopiano come astronauti che esplorano la luna. A quasi 3000 metri la vegetazione è solo un lontano ricordo ed ogni metro è lastricato di roccia e sassi, sassi e roccia. Qua e là lingue di neve a ricordarci che in inverno il massiccio è completamente ammantato. Oggi la neve resiste solo nei punti meno esposti, ma ci costringe ad arrancare quando non possiamo fare a meno di affrontare la coltre ghiacciata. Un gruppo di veneti dal passo spedito ci supera agevolmente e attacca la salita del Pisciadù, mentre noi restiamo a guardarli con il naso verso il cielo, a metà via tra il biasimo e il rispetto. Dopo poche rampe raggiungiamo un belvedere mozzafiato: la cima del pizzo sovrasta un miniscolo lago di montagna e la parete verticale pare un corazziere posto a sentinella del rifugio che sorride allo specchio d'acqua. Dopo una sosta a base di strudel e sciroppo di lampone, riprendiamo la via verso Passo Gardena lungo la via più ripida che mi è mai capitato di percorrere. Il sentiero scende a picco ed io abbraccio le funi metalliche come il più caro degli amici. C'è un motivo se non voglio fare vie ferrate, ed oggi ne trovo conferma. La discesa mi pare interminabile, anche quando si addolcisce raggiungendo fondo valle. Dopo due giorni di bianco accecante finalmente il verde mi riempie di nuovo gli occhi. Qui il Pittore, parco di piacevoli cromie in alta quota, ha dato fondo alla sua tavolozza pennellando il panorama di mille tonalità di verde, marrone e blu. Il rosso, il giallo e il viola dei delicati fiori montani punteggia un quadro che alla mia vista è già un capolavoro. Il rombo dei motori scioglie l'incanto di camminare in questo affresco tridimensionale e mi riporta bruscamente al quotidiano, fatto di caos e cacofonia, lasciandomi però sul viso la traccia di un sorriso beato, cosciente del fatto che lassù, dove non osano i motori, tutto è armonia ed equilibrio.
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Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
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