Esauriti i motivi per non esserci, questa volta mi unisco all'allegra comitiva delle Piadine, che anche alla seconda uscita del 2020 registrano un insolito overbooking: al parcheggio di Badia Prataglia siamo in 10 bipedi e 2 quadrupedi, quasi un record di presenze. Le previsioni segnalano un peggioramento del tempo. "Finalmente", penso fra me e me, perché quest'inverno non è mai stato veramente tale. È ora che faccia freddo e che cadano pioggia e neve. Anzi, forse è anche troppo tardi per il regolare bioritmo della foresta. Comunque il gruppo mantiene alto il morale e sfida le previsioni poco favorevoli. Il nostro buonumore pare squarciare il cielo e ci lasciamo alle spalle il piccolo paese montano salendo uno stradello baciato da un pallido sole invernale. La strada sale lenta, ma non è faticosa. La salita è resa leggera dal piacere di condividere questo tempo e questa passione. Mentre salgo rifletto sulla frase pronunciata distrattamente da mia moglie la sera precedente, quando le ho comunicato che anche davanti alla probabile pioggia quasi nessuno ha rinunciato all'escursione:
"Sono cose che si fanno per passione" Tanto banale, quanto vero. Tanto vero, quanto determinante. In fin dei conto tutto si riduce a questo, a quanto cuore puoi e vuoi mettere in ciò che fai. La passione è quella moneta incommensurabile che si paga colmando la differenza tra lavoro e arte, tra dilettante e campione, tra dovere ed eroismo, tra abitudine e fede, tra ragione e follia. Per usare le parole del concittadino Fellini, tanto celebrato in questi giorni: "Non c’è fine. Non c’è inizio. C’è solo l’infinita passione per la vita." Mentre salgo tra frizzi e lazzi, beandomi della compagnia di questi amici e del rumore delle foglie sotto i piedi, penso anche che non posso e non devo considerare scontato il dono che mi è stato fatto di calcare questi sentieri vetusti. Penso in primis a Dio che ha creato tutto il bello che adorna la nostra vita, creatore anche di questi monti coperti di alberi. Poi penso a protagonisti noti, come Carlo Siemoni e Fabio Clauser, ed ancora più penso ai protagonisti muti e silenti che mi hanno reso possibile essere viandante in questa fiaba silvestre. Perché se è vero che Dio dona, credo sia altrettanto vero che sia responsabilità e dovere dell'uomo mantenere e conservare. Purtroppo nella maggior parte dei luoghi stiamo calpestando il dono che ci è stato fatto di dimorare in un pianeta tanto bello. Ma non qui, in questo fazzoletto verde, tessuto con terra, pietre, tronchi e foglie. Perché questo è un luogo nel quale l'uomo ha messo passione, facendo la differenza. Qui si sono raccolti uomini che hanno pensato a dare, piuttosto che prendere, sapendo che la natura restituisce con gli interessi. Uomini e donne che hanno compreso che non esiste solo un oggi, ma che la vita è fatta di tanti domani. Persone che non hanno trattato le foreste come un supermercato saccheggiandone gli scaffali, ma che hanno compreso l'importanza di piantare, di seminare, di concimare e di attendere. Persone che hanno agito con passione e pazienza, accettando anche di non cogliere il frutto della propria semina, con la fede ferma e certa di chi sa che qualcuno un giorno ne avrebbe assaporato il gusto dolce. Uomini che hanno compreso che ci sono anche i figli e i nipoti e che non necessariamente questi figli e nipoti devono essere tuoi. Basta che lo siano dell'umana famiglia. È con un cuore grato che guardo il verde, il giallo e il marrone di questo arazzo dipinto da Dio e conservato dall'uomo. Ore di sonno e ossa infreddolite sono poca cosa davanti al piacere di condividere questa passione con tanti amanti del bosco. Mentre scendo le ultime rampe cade una pioggia leggera e penso che, accomunati dall'amore per il bosco, oggi siamo ben più di dieci a calcare questi ciottoli.
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Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
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