Come In fuga dagli isterismi e dalle contraddizioni del corona virus, salutiamo la città per recarci presso le note cime di Sasso Simone e Simoncello. Non amo particolarmente camminare in questa parte del territorio e non nascondo il mio scarso apprezzamento agli amici del gruppo. Valuto fino all'ultimo minuto l'ipotesi di andare in solitaria nei miei amati boschi, ma due fattori influenzano la mia scelta: per prima cosa il piacere di condividere la giornata in piacevole compagnia e poi perché non sono mai salito sulla cima del Simoncello. Il percorso inizia dal campeggio di Carpegna, alle pendici dell'omonimo monte. L'aria è pungente ed il cielo parzialmente coperto da nubi, ma le previsioni non ci fanno temere pioggia. L'acqua nelle pozzanghere è gelata ed il terreno è molto allentato. Camminiamo in precario equilibrio nel fango, attraversando una landa piuttosto desolata. Intorno a noi pochissimi alberi ed arbusti in prevalenza, che in parte mi rammentano la Norvegia, ma molto meno rigogliosa. Il panorama è piuttosto anonimo, quasi triste, e se non fosse per le chiacchiere ed il piacere di camminare in gruppo, attraverserei con un certo disappunto questa spoglia terra senza fascino. Giunti alla base del Simone ci rinfranca il piacere di camminare in mezzo alla vegetazione, fra rocce leggermente ammantate di neve. In breve raggiungiamo la sella che divide i due massi ed attacchiamo la cima. Giorgio rimane saggiamente ad attenderci con Bella, il suo labrador che non potrebbe mai salire l'ultimo strappo, decisamente esposto. Da questo privilegiato punto panoramico ammiriamo il fondo valle il Sasso Simone che raggiungeremo di lì a poco. Sarà l'assenza di vegetazione e l'abbondanza di rocce, ma a me questo territorio mette tristezza. E mentre salgo in solitudine tra i massi precipitati dal Sasso Simone, in un paesaggio quasi lunare, la mia mente vaga dove trovano spazio le riflessioni. I piedi nel fango diventano sempre più pesanti e penso a chi nella sua vita ha percorso strade piene di fango, fango fisico e soprattutto morale. Penso a chi è costretto a muoversi nella vita come noi che oggi arranchiamo per poche ore su questi disagevoli sentieri. Penso al fango che nella vita a volte lo si calpesta, a volte ti viene gettato addosso. Penso al fango come al freno agli ideali, alle aspirazioni ed ai desideri. Poi mi volto verso il Sasso Simone e improvvisamente mi tornano alla mente le parole della poetessa bulgara Blaga Dimitrova, come un pungo allo stomaco, come un grido libero urlato al cielo, che spezza le catene del fango morale e penso alla capacità resiliente che possiede il genere umano di volgere a proprio favore anche gli eventi più avversi. "Nessuna paura che mi calpestino. Calpestata, l'erba diventa un sentiero."
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Durante il bellissimo weekend della recente Reunion Rex, io e Franz abbiamo gettato le basi per il trekking odierno. C'è stato il tentativo di coinvolgere qualche altro amico, ma gli acciacchi, gli impegni familiari e la poca passione, hanno tenuto tutti lontano dalle Foreste Cadentinesi. Non me e Francesco, gli unici due veri amanti della montagna. Franz è un vero atleta, che ha percorso chilometri e chilometri di sentieri di corsa nelle eco-maratone, non un pigro camminatore come il sottoscritto, ma scende volentieri al mio livello pur di trascorrere una giornata insieme, come accadeva tanto tempo fa quando avevamo meno soldi e meno preoccupazioni. È veramente da tantissimo tempo che non abbiamo la possibilità di chiacchierare indisturbati. In queste decadi ne è passata tanta di acqua sotto i ponti. Sono curioso di conoscere i suoi percorsi e mi fa piacere condividere con lui le mie vicende, quelle più lieti ed anche quelle meno piacevoli. E così, mentre i nostri scarponi calcano la terra, le nostre parole riassumono anni e mi tornano alla mente le parole di quel Francesco Guccini che abbiamo cantato e mai smesso di amare, quando nella canzone "Incontro" recita: "Povera amica che narravi dieci anni in poche frasi ed io i miei in un solo saluto". Mi rendo conto che è così, alla fine si narra la propria vita riducendola a poche frasi, forse pensando che non serve un fiume di parole per rievocare qualcosa a chi non lo ha vissuto, come fosse fiato sprecato. Però Francesco è più bravo di me, non solo nel camminare, ma anche nell'ascoltare e mi lascia interamente il bastone del comando in questa giornata fresca e soleggiata, mentre lo conduco su una via che conosco molto bene, ma che per lui è inedita: da Lago verso Pian del Grado, passando per le ripe toscane e rientro lungo il crinale del Castello di Corniolo. Mi lascia parlare Francesco, con quel suo sorriso divertito da ragazzino, mentre mi arrampico arditamente con le parole cercando di spiegargli le mie passioni e i miei studi cercando di portarlo con entusiasmo nel mio mondo astratto ed onirico, che spaventa i più. Ogni tanto alziamo gli occhi dal sentiero per ammirare gli scorci fiabeschi della valle del Bidente delle Celle o il fitto bosco che conduce a La Fossa. Proprio mentre sto per aprire il cancello, spiegando a Francesco che tale premura è imposta ai proprietari della comunità montana dagli animali che devastano il prato e l'orto incustoditi, è lui a notare una regale presenza sfuggita al mio sguardo: un maschio adulto di cervo che rumina all'interno dell'orto recintato. Dopo lo stupore iniziale estraiamo i cellulari per fare video e foto. Fortuna vuole che il cervo, assolutamente confidente, non solo non si spaventa, ma ci viene quasi incontro camminando serenamente in tondo all'interno dell'area circoscritta dal filo spinato. Dopo un primo giro, non pago, ne fa un secondo e poi, mentre ipotizzo che forse è rimasto bloccato all'interno della recinzione, spicca un balzo insospettabile considerando l'enorme stazza, e si infila nel fitto del bosco. Stupiti, sorpresi e felici riprendiamo il sentiero verso Pian del Grado ed io riprendo il mio fuoco di fila di parole e racconti, per nulla pago ed incurante della difficoltà del malcapitato compagno di giornata. Come un ostaggio è costretto ad ascoltare il mio cianciare, senza appelli e vie di fuga. Giunti a Pian del Grado mi placo un poco, per permettere a Francesco di ammirare quello che amo definire "un presepe nel bosco". Lungo la carrozzabile incontriamo qualche altro viandante e al Poderone c'è il solito viavai di auto e turisti venuti a godere i piaceri della tavola del noto agriturismo. È rimasto solo l'ultimo sforzo per Francesco, il crinale che porta al castello e poi la ripida discesa verso il punto di partenza, dove potrà riprendere l'auto e fuggire da questo goffo fauno incantatore. Nei pochi istanti di fiato che gli concedo, come un pugile alle corde, Francesco riesce a dirmi in poche parole sensate, molto più di quanto io non abbia detto in ore di chiacchiere da comare. Gli chiedo delle sue corse campestri e, provocatoriamente ed ironicamente, domando quante ne ha vinte, sapendo già che è impossibile aggiudicarsi queste gare. La sua risposta lapidaria racchiude un universo: "Contro gli altri non ne ho vinta nessuna, contro me stesso ne ho vinte parecchie". Dono della sintesi batte cammin ciarliero 1 a 0. È dalle prime rampe che salgono dal caseggiato di San Paolo in Alpe che questo bigio trekking invernale appare avere un leitmotiv: il tempo. Oggi siamo in sette, Pape compresa, e raggiungeremo la cascata dell'Acquacheta da una via che non conosco: 5 km di salita costante fino alla Cima Coppi di giornata, Monte delle Capanne. Poi in discesa fino al Tramazzo e salita breve ma impegnativa per riguadagnare quota ed arrivare alla cascata dal versante opposto per ammirarla ruggire frontalmente. Con noi ci sono Heidi e Doretta, due amiche simpatiche e "toste": non si lamentano per la levataccia, per la fatica e per la pioggia. Ma come noi non sono nate ieri e sorrido mentre facciamo riferimento a loro con il termine di "ragazze", perché a vent'anni non le avrei certamente chiamate così. Ma oggi mi accorgo che in realtà meritano questo appellativo, perché se pure i 20 anni siano passati da un po' anche per loro, nello spirito sono più ragazze di tante giovani che conosco. Rammento una recente trasmissione radiofonica dove un signore over 70 ha dichiarato di sentirsi un ragazzino: "Vado in giro in moto e mi vesto come un giovanotto di 40 anni". Tutto è relativo e, come dice uno slogan "40 is the new 20". Inevitabilmente ammorbo i compagni di sventura con i miei racconti sui recenti studi del canto degli alberi, registrato con apparecchiature in grado di catturare e convertire le modulazioni elettromagnetiche delle piante in vera e propria musica. I miei amici non possono scappare e sono costretti ad ascoltarmi mentre parlo loro di "Old Tjikko", un abete di oltre 9500 anni che si trova in Svezia e di cui mi ha parlato recentemente un amico studioso, esperto di neurobiologia vegetale. Questo porta inevitabilmente il mio pensiero al bosco che ci accoglie ed a quanto possiamo apparire giovani e presuntuosi davanti a queste creature che ci precedono e succedono nella linea temporale. Probabilmente cercano di non ascolatre il nostro vociare confuso e fastidioso mentre infrangiamo il sacrale silenzio della foresta, come gli Ent di Tolkien. Dopo avere lasciato la cascata di Dante, seguiamo la sinistra idrografica del Fosso dell'Acquacheta e proseguiamo chiacchierando. Non ricordo come ma evoco ad Alessandro i miei trascorsi di sciatore e gli racconto della profonda passione di mio padre per quello sport, passione che ci portò a visitare tutte le principali località appenniniche e dolomitiche durante la mia adolescenza. A quel tempo ero un ragazzino che non sentiva la fatica e che non comprendeva gli acciacchi degli adulti. Ascoltavo senza comprendere mio padre e i miei zii parlare di dolori muscolari dopo un giorno di sci e pensavo: "ma di cosa stanno parlando?" Ebbene mi sembravano "vecchi" o almeno la loro età mi sembrava quasi lontana ed irraggiungibile. Mentre parlo mi rendo conto che a quel tempo mio padre non aveva nemmeno 40 anni ed oggi mi sembrerebbe un ragazzino. Come tutto è strano e relativo. Oggi solco questi sentieri e mi sento bene, mi alleno quasi tutti i giorni, cammino senza affanni e particolari problemi. Ringraziando Dio godo di buona salute, non ho particolari acciacchi e recupero abbastanza in fretta, ma ho comunque 10-15 anni in più di quando mio padre mi pareva già un anziano sciatore. Buffo. Ora capisco meglio i miei figli e le loro frasi che spesso considero irrispettose: loro mi hanno sempre visto come un vecchio, a partire da quando hanno aperto gli occhi. Non è una questione di mancanza di rispetto, piuttosto il naturale trascorrere degli eventi. Solo io quando mi soffermo allo specchio non riconosco l'attempato signore che ricambia il mio sguardo. La ragione è che io non lo vedo fuori, come lo vedono tutti. Gli altri vedono una barba bianca e dei capelli radi, io invece lo guardo dentro e dentro ha l'animo di un bambino con gli occhi, come direbbe Guccini, "spalancati sul mondo come carte assorbenti". |
Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
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