Un uomo semplice ha sogni semplici. Uno dei miei sogni semplici era quello di trascorrere un weekend in un rifugio in buona compagnia e questo sogno si è avverato. Ricevo dal lavoro un regalo inatteso ed io e Roberta siamo in grado di partire all'ora di pranzo di venerdi. Raggiungiamo il Rifugio La Calla dove incontriamo il gestore del CAI che ci accoglie intento ad accendere il fuoco. Il tempo di qualche indicazione di rito e ci ritroviamo sulla porta gli amici Marco e Iulia: baci, abbracci e ci mettiamo subito gli scarponi ai piedi. Io voglio fare un sopralluogo per scoprire come raggiungere la Burraia in auto ed il signor Marcello si offre di accompagnarci in auto per indicarci la strada. Dopo averci mostrato come avvicinarci al pascolo, prosegue fino al parcheggio degli impianti di risalita e, parcheggiata l'auto, iniziamo a camminare verso il punto radio militare del Monte Falco. Incrociato lo "00" e lo imbocchiamo in direzione sud mentre Marcello ci insegna a riconoscere le pigne di pino mugo, con il quale fa uno sciroppo per i malanni invernali. Ne raccogliamo anche noi e tenteremo di realizzare lo sciroppo. In breve giungiamo alla Burraia ed i nostri amici ammirano il panorama ed il pascolo, che sono per loro una novità. Noi ci siamo già stati tante volte, ma in questo pomeriggio di sole estivo tutto ci appare più bello. Saliamo fino alla cima del Monte Gabrendo e restiamo un po' in attesa, nella vana speranza di ammirare qualche animale. Scendiamo al rifugio e, nemmeno il tempo di mettere qualche salsiccia sulla griglia, che ci ritroviamo sulla porta anche Enzo e Concetta attirati dal profumo della carne. Il gruppo è riunito. Trascorriamo la serata in piacevole compagnia andando a nanna piuttosto presto, perché Iulia ha fatto una bellissima proposta: sveglia alle 5 per andare a vedere l'alba alla Burraia. Dopo una tormentata notte passata fra i rumori dei ghiri sul tetto e i rumori di un orso del nostro gruppo, accolgo con gioia il suono liberatorio della sveglia. Fuori ci attende un'aurora meravigliosa che colora già il cielo ed illumina i nostri passi. Ci avviciniamo in silenzio alla radura, consapevoli della possibilità di incontrare qualche animale. Appena usciti dal bosco sorprendiamo un branco di 7-8 daini intenti a brucare sul declivio prossimo al rifugio "Citta di Forlì". L'emozione è tanta e sembriamo bambini la mattina di Natale. Cerchiamo di rubare qualche scatto mentre gli animali si allontanano da noi e raggiungono il limitare del bosco. Nel frattempo un paio di maschi sbucano nella parte alta del pascolo correndo verso il Monte Gabrendo. Non c'è tempo da perdere, sta albeggiando, quindi saliamo nel punto più alto del prato e ci appostiamo proprio dove ha dormito il branco. I segni dell'erba schiacciata svelano chiaramente il punto in cui il branco ha trascorso la notte. Accendo il mio dispositivo audio ed il silenzio è rotto dal dolce suono della melodia suonata al pianoforte da Ludovico Einaudi. In questo clima dolcemente meditativo salutiamo il sorgere del sole, rapiti dalla bellezza di un fenomeno naturale che si ripete ogni giorno come un miracolo che si rinnova, rigenerando ciclicamente la magia della vita. Sembriamo un po' buffi mentre ce ne stiamo in silenzio, chi in piedi e chi seduto, a guardare la sottile lama di luce che in breve diviene una palla rossa e poi una sfera lucente. Il giorno nuovo è nato portandosi via la magia di quegli attimi, ma il regalo di madre natura resta impresso nei nostri cuori e nei nostri occhi. Abbiamo perso qualche ora di sonno ma in cambio abbiamo avuto qualcosa che vale molto di più. Qualcuno ha scelto di rimanere a letto e non posso non pensare a come alcune decisioni nella vita ci impediscono di vivere esperienze simili: quante volte scelgo di rimanere a letto a dormire perdendomi gioie più grandi? Questa esperienza rinnova in me il desiderio di cogliere tutte le opportunità che la vita mi concede, impedendo alla pigrizia di avere il sopravvento. Quando anche gli altri si svegliano facciamo una bella colazione e partiamo alla volta di Poggio Scali. Dall'inizio dell'anno è la terza volta che salgo al poggio, ma mi sembra la scelta più ovvia scegliendo un percorso alla portata di tutti e partendo con gli scarponi ai piedi direttamente dal rifugio. La giornata è bella e il sole alto è rincorso da poche nuvole. Raggiunto il punto panoramico ammiriamo la vista sulla Romagna ed in particolar modo mostro ai miei compagni San Paolo in Alpe, dove li porterò il giorno successivo per un altro picnic in quell'oasi di pace e silenzio. O almeno così credo. Nel pomeriggio saliamo in auto e raggiungiamo Poppi per visitare il castello. Anche questa visita non è una novità per me e Roberta, ma l'ausilio delle audio guide e la compagnia dei nostri amici rendono anche la visita al castello una esperienza diversa e piacevole. Trascorriamo la serata sulla terrazza di un bellissimo ristorante, ammirando il castello illuminato dalla luce del tramonto. La seconda notte sfata un mito: non dirò mai più a nessuno "dormi come un ghiro", perché scopro che i simpatici roditori non dormono affatto. Almeno non quelli che dimorano sul tetto del nostro rifugio e che ogni notte giocano interminabili partite di calcio sulle nostre teste. Vinti dalla magia della prima alba decidiamo di ripetere l'esperienza e questa volta si unisce a noi anche Roberta, oramai sveglia grazie agli animaletti che ci corrono sulla testa senza sosta. C'è un po' di vento e Roberta indossa maglia, maglione, impermeabile con cappuccio e si avvolge con una coperta in perfetto stile squaw. Questa mattina il sorgere del sole è disturbato da qualche nuvola all'orizzonte, ma l'esperienza è sempre carica di pathos. Gli animali non mancano, anche se li vediamo solo per pochi istanti, spaventati dalla nostra presenza: prima una lepre, poi un paio di daini ed altre lepri ai margini della radura. Sul poggio io e Marco avvistiamo 4 daini che si infilano nella boscaglia, spaventati dal nostro arrivo. Tornando all'auto Marco e Roberta vedono un'altra decina di daini e Roberta avvista uno scoiattolo che scappa agile e veloce davanti ai suoi occhi. Peccato che queste bestie non comprendano le nostre buone intenzioni: avremmo solo voluto ammirarli pacificamente ed invece li abbiamo disturbati costringendoli alla fuga. Tornati al rifugio prometto ai miei amici che, se saremo fortunati, potremo ammirare altri daini a San Paolo. Pia illusione. Lasciata la strada principale imbocchiamo la sterrata che sale al pascolo. Il nostro programma è lasciare l'auto alla sbarra e proseguire a piedi nella faggeta. E' domenica mattina e non pretendo di essere l'unico sul posto, ma non mi sarei mai aspettato lo spettacolo che si para davanti ai miei occhi. Mano a mano che saliamo le auto aumentano, al punto che fatichiamo a trovare posto per parcheggiare lungo la strada. Giunti alla sbarra la troviamo alzata, per scoprire altre auto in sosta lungo la forestale. Inaudito. Saliamo a piedi e all'altezza del bivio che porta alla Lama c'è addirittura un furgone parcheggiato. Un signore con un sorriso che vorrebbe essere gentile, ma che io trovo solo ebete, ci chiede se vogliamo usufruire del "servizio navetta". Vorrei dargli una testata. Siamo circondati da signore anziane che salgono con scarpette da città e improbabili escursionisti last-minute abbigliati in stile Fantozzi. Cosa sta succedendo? Una signora ci annuncia con gioia che oggi si celebra la festa di San Paolo e che tutto il paese sale al pascolo. Mi cadono le braccia e voglio tornare a casa. Spinto dagli amici raggiungo il pascolo e guardo con orrore i profanatori del Tempio: auto parcheggiate, la navetta che sale e scende instancabilmente, un generatore di corrente a nafta che scoreggia ininterrottamente e, dulcis in fundo, un "animatore" con tanto di impianto audio che diffonde musica da sagra paesana, appollaiato su un palco improvvisato costituito da bancali Epal. Dove avrei voluto sdraiarmi a fare il picnic, all'ombra degli alberi secolari vicino alla chiesetta diroccata, c'è un girone dantesco di chioschi che vendono cibo, mescitori di vino e persino il gioco della pignatta. Da ogni dove giungono cavalieri in groppa ai loro destrieri ed alle vacche al pascolo di unisce una mandria di cavalli. Quando vieni in questi luoghi, salendo con fatica lungo sentieri poco frequentati, per trovarli deserti e silenziosi, ti culli nella fallace idea di essere l'unico a frequentarli e, soprattutto, di essere l'unico ad avere il diritto di farlo. Ti senti irrazionalmente il padrone di qualcosa che razionalmente sai non essere tuo. Guardo questi signori che calpestano il "mio" prato come si potrebbero guardare dei ladri sorpresi mentre rubano a casa tua. Li guardo con gli occhi sbarrati di un prete che vede qualcuno fare pipì nella sua chiesa. Sgomento e mortificato mi scuso con gli amici per il "tragico" epilogo di un weekend altrimenti perfetto. Avranno anche profanato San Paolo, ma nessuno potrò togliermi le emozioni che mi ha regalato l'alba alla Burraia quando siamo saliti per fare colazione insieme ai daini.
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Non è stata decisamente la piu brillante delle mie idee andare a visitare un vulcano in una località chiamata "Inferno" proprio nel giorno piu caldo dell'anno. Ma come potevo sapere che sarebbe stato il giorno più caldo dell'anno? Era da tanto che volevo vedere questo fenomeno geologico e c'era sempre qualcosa che me lo impediva. Recentemente ne avevo parlato con mio figlio ed anche lui aveva maturato il desiderio di vederlo. Improvvisamente mi ritrovo un giorno di ferie inatteso, Giacomo ha appena finito gli esami di maturità e penso che l'occasione sia propizia. Non ho fatto i colnti con le temnperature odierne. Seguendo la guida particolareggiata dell'amico Matteo mi reco a Tredozio e cerco l'imbocco del sentiero. Trovo un agée centro visitatori anni '50, ovviamente chiuso, e chiedo informazioni al macellaio del paese che se ne sta seduto su una sedia fuori dal suo esercizio, intento a sfogliare la Gazzetta. Quando gli chiedo del sentiero 571 strabuzza gli occhi e mi dice che lui i sentieri li conosce tutti, ma non per nome. Poi si illumina e mi dice: "Chiediamo al Mario", e nel farlo suona un campanello a due porte dalla sua bottega. Quando Mario scende io sono imbarazzatissimo e mi preparo a chiedere scusa genuflettendomi, ma Mario mi tranquillizza: è lui che traccia e cura la sentieristica ed e felice di aiutarmi. Trovato l'imbocco iniziamo a salire e, non senza fatica, guadagnamo 200-300 metri di quota in poche ripidissime rampe. Il sentiero è battuto ma non è segnato molto bene ed in breve incominciamo a dubitare: Mario non è tanto accurato quanto gentile. In una nuvola di moscerini, mosche e tafani attraversiamo poderi, scavalchiamo recinzioni, passiamo su carrarecce e strade asfaltate, transitiamo in un bosco diseminato di postazioni aeree e per la caccia al colombaccio (dura la vita del colombaccio a Tredozio...) ed infine giungiamo alla croce del Monte Sacco, cima Coppi odierna. Qui Mario deve essersi stancato di segnare il sentiero e noi smarriamo la via. Ci affidiamo alla guida di Matteo e, ritrovata la strada asfaltata, la predniamo nella direzione sbagliata: per fortuna transita un'auto dei Carabinieri, li fermo e gli chiedo informazioni disperando che possano aiutarmi. "So che la mia richiesta è più idonea da rivolgersi a Guardie Forestali che a tutori dell'ordine, ma confido ciecamente nelle risorse dell arma (...)". Fortunatamente i Carabinieri sanno aiutarmi e presto scoprirò perché. Mi attendo che il vulcano si trovi in cima al Monte Busca, raggiungibile solo via sentiero forestale impervio ed inaccessibile, invece proseguiamo sulla strada asfaltata, incontriamo un bar dove ci prendiamo un paio di gelati e proseguendo sull'asfaltata dopo qualche curva vediamo in lontanaza il vulcano, a pochi metri dalla strada. Il luogo non è di grande fascino, ma mi getto alle spalle la deludente impressione avvicinandomi alla fascinosa fiamma eterna che sale dalle rocce. Il punto panoramico si affaccia come una terrazza naturale sulla valle sottostante e sono subito rapito dall'elemento primordiale. Mi stupisco come in tempi antichi nessuno abbia mai pensato di costruirvi un Tempio votivo dedicato a chissà quale divinita pagana, perché in qualsiasi altro luogo questo fuoco misterioso avrebbe stimolato la fantasia e generato un qualche strano culto. Evidentemente anche i romagnoli antichi si distinguevano per senso pratico e disincanto. Probabilmente lo hanno solo usato come barbecue, alla faccia dei culti pagani. Visto il caldo e le difficoltà incontrate in mattinata decidiamo di tornare a Tredozio per la strada asfaltata, seguendo anche il consiglio del barista dal quale torniamo per un bis di gelato. La strada è lunga ma facile e mentre ammiro il paesaggio collinare, morbido e sinuoso da campagna inglese, penso che sia piu godibile per bikers che trekkers. Giunti in paese all'ora della siesta troviamo la strada maestra letteralmente deserta: i tredoziesi sono saggiamente barricati nelle loro abitazioni. All'auto il termometro segna 39 gradi. Abbiamo pagato un pesante tributo di sali minerali, ma almeno ci siamo tolti una curiosità ed ammirato il vulcano piu piccolo del mondo. Eccomi in versione Roberto Giacobbo, sudaticcio e stanco.
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Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
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