Al termine di una delle settimane più calde e afose dell'anno, i siti meteo prevedono un weekend di pioggia battente a partire da sabato pomeriggio, quindi decidiamo di comune e saggio accordo di non sfidare la sorte e rinunciamo alla programmata notturna sul monte Carpegna. Ne approfittiamo quindi per regalarci un inedito in zona Premilcuore, con drastica riduzione dei partecipanti. Alle 6,30 al bar siamo Gabriele, Paolo e Fabio, oltre allo scrivente. Iniziamo a camminare dal ponte sul Rabbi attraversando il centro del paese. Quasi raggiunto il maneggio Ridolla imbocchiamo il sentiero che sale ripido verso Monte Tiravento. I primi 5km ci costringono a salire senza lasciare troppo spazio alle parole. Tutta l'aria che ho nei polmoni mi serve per sbuffare come una locomotiva a vapore. Questa è la condizione ideale per camminarsi dentro, non con gli occhi distratti da ciò che mi circonda, ma intento a procedere a testa bassa, concentrato sul prossimo passo, poi sullo quello successivo e sull'altro ancora. Ansimando penso e pensando riscopro il piacere del camminare. Per meglio esprimere i miei sentimenti, rubo le parole allo scrittore statunitense Henry David Thoreau: "Sono allarmato quando succede che ho camminato un paio di chilometri nei boschi solo con il corpo, senza arrivarci anche con lo spirito." Recentemente ho letto il testo di Volker Winkler "La meditazione camminata" e, una volta ancora, ho scoperto quanto so di non sapere, come diceva Socrate. In questo libro non solo ho ritrovato tanto delle emozioni che vivo quando cammino. In un certo senso ho compreso perché amo camminare, soprattutto in montagna e particolarmente in mezzo agli alberi. Ma più ancora ho scoperto che la meditazione camminata è una pratica antica quanto l'uomo e che, particolarmente nella cultura orientale e segnatamente in quella buddista, lo scontato gesto del camminare è da sempre stato scelto come un potente veicolo di scoperta interiore. Improvvisamente mi sono sentito meno solo, meno folle e meno isolato in questo mio percorrere monti e valli alla ricerca dell'equilibrio e della pace, immerso nel profumo del bosco e vinto dall'incanto di una natura che non smette di commuovermi. Rubo ancora una frase per rafforzare il concetto: "In ogni passeggiata nella natura l’uomo riceve molto di più di ciò che cerca." (John Muir) Quanta verità in queste semplici parole. Oltre ai cari amici che oggi camminano al mio fianco, mi sembra quasi di vedere tante altre persone, che in altri luoghi e in altre epoche, hanno battuto questo stesso sentiero alla ricerca della consapevolezza. Credo che la maggior parte delle persone sappia solo camminare fuori, calpestando il suolo senza cercare di ottenere il premio più prezioso. Io bramo camminarmi dentro e per me si tratta di un percorso di consapevolezza. Fuori dal tempio di Apollo era affissa una targa, un invito agli adoratori della divinità che trovava dimora all'interno dell'edificio: “Conosci te stesso”. Trovo interessante che nella mia cultura, quella cristiana, l'invito in un certo senso sia il medesimo: "E questa è la vita eterna: che conoscano Te, il solo vero Dio" (Giovanni 17:3) Credo nella dottrina del gene divino e, in quanto figlio di Dio, trovo che, in un certo senso, conoscere me stesso corrisponda a conoscere Dio, e penso che il cammino interiore non sia solo un enorme piacere, ma anche un mio dovere cristiano. Raggiunto il crinale la strada diventa più facile e ritroviamo il piacere delle chiacchiere mentre cavalchiamo una cresta esposta e ventosa che entra ed esce nel bosco come un brucomela. Pare di essere in un loop come nei film. "Ma qui ci siamo già passati!". Il sentiero procede così fino a quando non raggiungiamo la strada forestale e incontriamo dei ciclisti che si stanno attrezzando per affrontare in picchiata la strada dalla quale siamo venuti, vestendo ginocchiere e protezioni da giocatori di football. Il loro approccio è diametralmente opposto al mio. Comprendo la bellezza del gesto atletico e la ricerca del benessere attarverso lo sport, ma ritengo che atraversando la montagna ad alta velocità perdano il piacere che deriva dal lento camminare. In bicicletta percorri molta strada ma vedi un decimo del camminatore. Io penso sia meglio andare piano, penso sia più importante la qualità del cammino piuttosto che la quantità di strada che percorri e forse, a volte, è semplicemente necessario fermarsi, chiudere gli occhi e ascoltare la voce del vento. Mi fanno pensare alle parole di un autore anonimo che oggi, nel mio 50mo anno, trovo particolarmente calzanti, quasi preoccupanti: "L’uomo che a cinquanta anni conosce se stesso come a venti, ha sprecato trent’anni della sua vita." Ogni anno lustro mi spinge a fare un bilancio e mi domando, sulla scia di questa riflessione: quanti anni ho veramente vissuto? Quanti anni ho invece sprecato? Clicca qui per vedere le foto di Gabriele
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È diventata una bella tradizione quella del giro estivo organizzato da Alessandro, e mi unisco con piacere a questa traversata in alta quota. Purtroppo gli impegni tengono lontani molti membri dei due gruppi di Rimini e Faenza, quindi alla partenza ci presentiamo soltanto io, Alessandro, Dona e Andrea. Il programma prevede la scalata, l'attraversamento e la discesa dal massiccio del Sella, un panettone di roccia che attrae molti amanti della montagna. Dopo un interminabile viaggio diviso in due tappe, con sosta notturna ad Avio, soltanto alle 12 siamo in grado di mettere gli scarponi ai piedi al parcheggio della funivia del Passo Pordoi. Mentre i più bighellonano all'ombra del gigante, molti salgono sul sasso grazie alla funivia. Sono solo pochi i folli che attaccano a piedi le rampe che portano alla forcella e mentre salgo ne comprendo il motivo: la salita è lunghissima, parte in leggera pendenza per aumentare sempre di più il dislivello, contestualmente al coefficiente di difficolta. Il ghiaione rende incerto ogni passo. Mi lascio presto alle spalle gli amici di Faenza, partiti al piccolo trotto, quindi ho tanto tempo per riflettere mentre sbuffo sul fianco della montagna. In questo peregrinare solitario ho molto spazio per ragionare in isolata meditazione e due principali riflessioni occupano la mia mente. La prima delle due è la seguente: "L'unica salita impossibile è quella che scegli di non affrontare" Ne sono profondamente convinto. Certamente esiste un limite a ciò che possiamo realizzare, ma penso che molte volte ci lasciamo vincere dalla pigrizia, dalla poca stima, dallo scoraggiamento, dall'autocommiserazione e dalla paura, abbassando l'asticella del nostro limite reale. La montagna mi impone il confronto con me stesso, con i miei limiti e le mie insicurezze. È davvero un maestro muto e nel silenzio cerco di imparare la lezione. Tentare non costa nulla e il vero fallimento è rinunciare, darsi per sconfitti in partenza. La seconda e più profonda riflessione che affiora alla mia mente, mentre sudo chino sotto il peso del mio zaino è: "Ma quanto bip costava il biglietto della funivia?" Mi sono fermato due volte, una per mettere una ginocchiera a braghe calate, e la seconda per indossare una maglia perché i gradi scendono in modo inversamente proporzianale al salire dei metri. A pochi passi dalla cima mi raggiunge Andrea, fresco come una rosa. Saliamo l'ultima rampa aggrappati a una cima gelata a causa della neve che non vuole sciogliersi nel canalone sotto la forcella. Il rifugio del Passo pare una reggia e il panino con il wurstel sembra un pasto da re. Ricompattate le fila proseguiamo verso il rifugio Boè, evitando di salire la cima dell'omonimo Pizzo, a causa del poco tempo a disposizione. Col senno di poi mi rammarico per questo traguardo solo sfiorato. La mancata salita a Capanna Fassa rende l'opera incompiuta, ma questo mi offre lo spunto per decidere di tornare. Dopo una piacevole serata al rifugio e un sonno ristoratore, riprendiamo la nostra traversata tagliando l'altopiano come astronauti che esplorano la luna. A quasi 3000 metri la vegetazione è solo un lontano ricordo ed ogni metro è lastricato di roccia e sassi, sassi e roccia. Qua e là lingue di neve a ricordarci che in inverno il massiccio è completamente ammantato. Oggi la neve resiste solo nei punti meno esposti, ma ci costringe ad arrancare quando non possiamo fare a meno di affrontare la coltre ghiacciata. Un gruppo di veneti dal passo spedito ci supera agevolmente e attacca la salita del Pisciadù, mentre noi restiamo a guardarli con il naso verso il cielo, a metà via tra il biasimo e il rispetto. Dopo poche rampe raggiungiamo un belvedere mozzafiato: la cima del pizzo sovrasta un miniscolo lago di montagna e la parete verticale pare un corazziere posto a sentinella del rifugio che sorride allo specchio d'acqua. Dopo una sosta a base di strudel e sciroppo di lampone, riprendiamo la via verso Passo Gardena lungo la via più ripida che mi è mai capitato di percorrere. Il sentiero scende a picco ed io abbraccio le funi metalliche come il più caro degli amici. C'è un motivo se non voglio fare vie ferrate, ed oggi ne trovo conferma. La discesa mi pare interminabile, anche quando si addolcisce raggiungendo fondo valle. Dopo due giorni di bianco accecante finalmente il verde mi riempie di nuovo gli occhi. Qui il Pittore, parco di piacevoli cromie in alta quota, ha dato fondo alla sua tavolozza pennellando il panorama di mille tonalità di verde, marrone e blu. Il rosso, il giallo e il viola dei delicati fiori montani punteggia un quadro che alla mia vista è già un capolavoro. Il rombo dei motori scioglie l'incanto di camminare in questo affresco tridimensionale e mi riporta bruscamente al quotidiano, fatto di caos e cacofonia, lasciandomi però sul viso la traccia di un sorriso beato, cosciente del fatto che lassù, dove non osano i motori, tutto è armonia ed equilibrio. Spinto dal desiderio di passare una bella giornata in compagnia degli amici delle Piadine Randagie, dalla voglia di tornare fra le mie amate montagne che non frequento da aprile ed anche dalla necessità di trovare un momento di refrigerio dalla torrida estate riminese, riesco finalmente ad riunirmi al gruppo per una bellissima escursione estiva. In origine saremmo voluti andare sui Sibillini, meta che da tempo abbiamo nel mirino, ma la necessità di non rientrare troppo tardi ci impone la scelta di un posto più vicino a casa. Gabriele ripropone l'eremo di Gamogna, altra escursione fallita più volte, ma io rilancio suggerendo la foresta di Campigna perché ritengo che, sotto questo sole cocente, dovremmo evitare il crinale esposto per cercare l'ombra delle foreste secolari. La mia proposta viene accolta e così parcheggiamo di primo mattino davanti al leggendario Albergo Scoiattolo di Campigna, oggi invaso da orde di turisti vocianti. Il popolo della montagna è già operativo dalle prime ore del mattino e lungo i sentieri troveremo molta compagnia, fra pedestri e ciclisti. Uno dei tanti aspetti positivi delle Foreste Casentinesi risiede proprio nella varietà della sentieristica. SIno al parcheggio del rifugio La Capanna percorriamo una via nota, poi ci inoltriamo nel fitto della foresta lungo un cammino nuovo, impreziosito dalla visita al rifugio Fontanelle, dove nessuno di noi era mai stato. La scelta felice appartiene a Gabriele. Io avrei voluto camminare sul versante est di Campigna, verso il rifugio Ballatoio per scendere a Villaneta, ma Gabriele è a conoscenza della chiusura del sentiero che va a Le Cullacce, fatto che io ignoro, pertanto propone questa variante ad ovest con la felice deviazione al già citato rifugio. Veniamo accolti nel fitto del bosco dalle signore che gestiranno il capanno sino alla fine di agosto e ci sediamo a un tavolo esterno, cullati dal vento che accarezza le fronde mentre consumiamo una fetta di crostata con tanto di bio succo ai mirtilli. Intorno a noi tutto è pace ed armonia. In questo clima di piena sintonia con la natura ed equilibrio cosmico, commetto l'errore di aprire il mio cuore a considerazioni evidentemente troppo alte per gli standard del gruppo. È da troppo tempo che non li frequento ed ho dimenticato che in loro compagnia si può parlare solo di donne, cibo e gare di rutti. Mi lascio andare a considerazioni sulle vibrazioni armoniche, sull'influenza che queste ultime hanno sull'acqua e gli elementi della natura. Parlo loro degli studi di Emoto sulla memoria dell'acqua e del fatto che, essendo il nostro organismo composto in larga misura da tale elemento, subisce l'influenza degli stimoli positivi o negativi delle frequenze. Inizialmente mi ascoltano in silenzio ed io commetto il secondo, tragico errore di giornata: interpreto infatti tale silenzio come un modo per ascoltare con attonito stupore le mie sagge parole. Quando sto per dir loro di non ringraziarmi per avere condiviso tanta conoscenza, perché il sapere è un bene comune che va condiviso, mi rendo conto di non avere compreso la vera ragione della loro muta risposta: non si trattava dell'incanto del discepolo, ma piuttosto dello spazio di rincorsa di cui avevano bisogno le loro basiche menti per lanciarsi contro di me con una sequela di quelle che forse potrei definire in modo più elegante, ma non sufficientemente esaustivo se non le chiamassi con il loro vero nome: prese per il culo. Da quel momento divento il loro unico bersaglio, come un adolescente vittima di bullismo. Ogni mia parola, ogni mia teoria, ogni mia ingenua condivisione viene strumentalizzata e rielaborata, restituita al mittente sotto forma di disincantato e dissacrante sfottò. Mi sono concesso loro in pasto come la più innocente delle prede, avendo pensato per un attimo che mi avrebbero potuto capire. Invece sono stato puerile, ingenuo e stolto. Vittima dell'aridità e della grettezza. E mentre salgo verso la cima, chino sotto il peso della pubblica gogna, mi sembra che anche gli alberi si uniscano al coro di epiteti e lazzi. In quel momento mi sento solo e mi rimprovero perché mi era stato insegnato di non dare perle ai porci e vinto dal mio orgoglio ho pensato di essere immune a tale verità. Ma come insegna Paulo Cohelo l'ora più buia è quella che precede il sorgere del sole ed è in quel momento di schiacciante solitudine che una lama di sole trafigge i rami e mi accarezza il viso, riempiendo la mia anima di consapevolezza e risveglio. Improvvisamente la natura torna ad essermi amica e il bosco mi accoglie nel suo grembo. Gli alberi che sembravano contorti, ora di ergono dritti in una parata festante, le foglie mi applaudono e la luce scalda il mio animo. Illuminato da una rinnovata consapevolezza, riscopro la bellezza e la verità delle parole di Charles Bukowski: "I grandi uomini sono i più soli." |
Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
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