Il Rifugio Cotozzo. Sono ancora in ferie. Non ho potuto fare la "tre giorni", ma mi godo ben due escursioni consecutive. Anche questa in solitaria. Oramai la gente scappa appena mi incontra, giustamente spaventata all'idea che rivolga la fatidica domanda: andiamo a fare trekking? Ma non mi dispiace affatto stare da solo, anzi, il trek in solitaria è un modo bellissimo di godersi la montagna. Ieri ho fatto 19 km, record personale, quindi oggi ho scelto un trek defaticante che si rivelerà uno dei percorsi più belli del Parco delle Foreste Casentinesi. Io che amo tanto la foresta e i luoghi mistici, trovo in questo trek un appagante concentramento di elementi a me cari. Si parte da Camaldoli, dove ha sede il monastero con la bella farmacia medievale (peccato siano vietati gli scatti). Si sale fino al Rifugio Cotozzo per quasi 2 km e qui,dopo una breve pausa, si possono scegliere 3 strade diverse: si può puntare a Badia, oppure scegliere due percorsi differenti che conducono all'eremo, uno più lungo e uno più breve. Prendo il più breve, ma mi riprometto che un giorno farò anche quello più lungo. Fonte Duchessa. Da Cotozzo all'Eremo è veramente una passeggiata: tutto bosco e ombra in prevalente pianura e a metà strada c'è anche in dono il refrigerio di Fonte Duchessa, sempre con acqua fresca. In men che non si dica si esce dal bosco e si arriva all'eremo, un luogo di pace e quiete isolato dal mondo. Pur non condividendo la fede di questi monaci, apprezzo molto ciò che hanno fatto per circa otto secoli: dalle loro origini, per le quali dobbiamo ringraziare San Romualdo, asceta ravennate, fino al XIX secolo sono stati artefici e custodi di queste foreste. La loro regola, straordinariamente ecologista, prevedeva fra le altre cose la piantagione di oltre 400 alberi all'anno. Hanno letteralmente plasmato questi luoghi, amandoli e custodendoli. Se esistono queste foreste dobbiamo ringraziare i monaci camaldolesi che hanno agito da guardie forestali in un'epoca in cui il rispetto della natura non era tenuto in alcuna considerazione.
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La cima di Monte Gabrendo da La Burraia. Finalmente in ferie!Quest'anno avremmo voluto fare una 3 giorni ma ho scoperto che il Parco nazionale delle Foreste Casentinesi non è ben attrezzato per trek simili: percorsi ce ne sono quanti ne vuoi, ma è difficile collegarli ai rifugi in una tre giorni. Non rinuncio però a questa lunga solitaria che mi porterà sul tetto del parco. La giornata non è caldissima e leggermente nuvolosa. Parto dal Passo della Calla e mi infilo subito nel bosco, direzione Burraia. Mi accorgo subito che c'è un cambio di clima, rispetto a tante altre passeggiate in solitudine: incontro comitive numerose e vocianti e, giunto alla Burraia, trovo alcuni gruppi e famiglie in pic-nic. E' comunque un piacere condividere la montagna. Tento di scattare una foto ad un rapace in volo, ma è troppo lontano. Sarà un falco, un nibbio, una poiana? O magari un'aquila? Improvvisamente richiude le ali e si getta in picchiata nella macchia del Gabrendo. Copre il mio spazio visivo in pochi secondi, ad una velocità impressionante. Meglio non essere nei panni della preda! Punto diritto al Falterona, non senza fermarmi sul belvedere che si affaccia su Poggio Piancancelli per scattarne una foto in versione estiva. Poggio Piancancelli, sembra un campo da golf a 1500 mt. Sull'ultimo ripidissimo strappo che sale sulla cima del Falterona incontro l'ennesima comitiva. Questo gruppo è formato da escursionisti non giovanissimi e non tutti in grande forma fisica. Sono abbigliati da gitarella, non hanno scarpe adeguate, arrancano un po' e li sorpasso agevolmente. Ancora non lo so, ma li ritroverò. Sosta pranzo alla croce. Mi consulto con due signori con i capelli bianchi che mi sembrano saperla lunga su questi sentieri e valuto insieme a loro un prolungamento del mio trek: vorrei andare al Lago degli Idoli, perché non ci sono mai stato. Mi dicono che la discesa è ripida e la risalita impegnativa, ma la gamba c'è e la voglia anche. Punto il lago. In effetti è una bella discesa con ripide curve a gomito, ma il fresco della foresta e l'attrattiva del lago rendono più leggera la fatica. A metà via ritrovo i gitanti della domenica. Questa volta sono fermi perché una signora un po' in carne ha problemi al ginocchio. Poiché cerco di essere previdente e poiché anche io a volte accuso dolorini alle ginocchia, ho sempre con me almeno una ginocchiera. Offro la mia ginocchiera di scorta e, al loro rifiuto, proseguo. Arrivo alla sorgente del fiume Arno, altra tappa ambita, e dopo poco raggiungo il Lago degli Idoli. Il Lago degli Idoli. Il lago è una delusione, per chi si aspetta un vero lago, ma io conosco la sua storia e non sono affatto deluso. In realtà è una pozza che diventerà un laghetto solo fra qualche anno, ma non è tanto l'aspetto naturalistico a renderlo un luogo di grande fascino, quanto piuttosto la sua storia. Il laghetto veniva utilizzato dai pastori locali per abbeverare le loro bestie. Nel 1838 una pastorella trovò una statuetta in riva al lago, informò le autorità di Stia e presto gli esperti di archeologia si accorsero di avere potenzialmente trovato un tesoro. Con una soluzione oggi improponibile, prosciugarono il lago con un drenaggio (!) e vi trovarono sul fondo una collezione di oltre 600 oggetti di epoca etrusca. Le acque del lago erano considerate taumaturgiche e le persone, soprattutto i soldati, venivano in questo luogo per chiedere una grazia o per ringraziare le divinità del lago. Purtroppo la gestione di questo patrimonio archeologico non fu affatto buona, così come quella del patrimonio naturalistico, ed il risultato è che ad oggi sappiamo dove sono finiti solo una minima parte degli oggetti rinvenuti dagli scavi. Oggi l'ente di tutela del parco ha scelto la soluzione della protezione dell'area e si sta lasciando che sia madre natura a riempire nuovamente il bacino; una soluzione che, nel lungo termine, favorirà il riequilibrio di un ecosistema interrotto in modo barbaro nel XIX secolo. Riprendo la strada di casa e, all'imbocco della salita che mi riporterà faticosamente sul Falterona, chi ti ritrovo? I gitanti della domenica! La croce ai 1654 mt. del Falterona. Questa volta l'atmosfera è cambiata: la signora è visibilmente dolorante, il marito la massaggia preoccupato e gli amici intorno non sanno che fare. "Signora, ultima chiamata, la vuole la mia ginocchiera?" "Ma lei me la darebbe? Come posso restituirla?" "Non si preoccupi, è un oggetto di poco valore; comunque le lascio il mio numero." "Lei è di Rimini? Noi siamo di Cattolica! Appena rientriamo dalla vacanza gliela porto a casa. Lei è un angelo." Io penso: non sono un angelo, semplicemente non sono uno sprovveduto. Mio zio mi ha insegnato, in mare, che bisogna avere grande rispetto della natura e sentirsi piccoli così, davanti alla sua maestosità. Ricordo che una volta, vedendolo così sicuro al timone della sua barca a vela, in mezzo a una tempesta, gli chiesi: "Zio, ma tu non hai paura del mare?" (io mi stavo cacando sotto, per la cronaca...) Lui mi rispose: "Scherzi? Non vedi quanto è grande il mare e quanto piccoli siamo noi? Solo uno stupido non avrebbe paura del mare. Se lo vivi coscienziosamente e rispetti le sue regole, può darti grandi gioie però." Purtroppo il mare ha reclamato la sua vita, ma la sua lezione mi è rimasta impressa: la natura è più forte di noi, va rispettata e affrontata giocando alle sue regole. Per questa ragione, soprattutto quando faccio trek solitario, seguo tante piccole e semplici regole di prudenza che mi hanno permesso di vivere sempre belle esperienze. Un trek a 1600 metri con scarpette da ballo, un ginocchio traballante, senza preparazione, senza bastoncini, senza un minimo di pronto soccorso è come andare al bronx gridando: odio i negri! Comunque la ginocchiera non l'ho più rivista... |
Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
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