Finalmente riesco visitare i Monti Sibillini. Devo ringraziare Marco e Iulia che oggi mi hanno offerto questa possibilità, organizzando un’escursione guidata da Giulio, un amico di Roma che ama molto la montagna e conosce benissimo questi monti. Nonostante la proposta sia stata fatta da molto tempo la pattuglia riminese si sgretola mano a mano che si avvicina il giorno del trekking: Alessandro, Gianluca, Fabio, Matteo e infine Andi rinunciano tutti quanti, a turno. Alla vigilia della partenza Iulia mi scrive: “Capiamo se anche tu vuoi rinunciare”. Niente affatto! Non voglio fare passare un’altra opportunità di visitare questi monti. Il gruppo perde altri due elementi, un amico di Marco e Iulia ed alla fine anche un amico di Giulio, ma imperterriti ci diamo comunque appuntamento nella piazzetta di Castelluccio. Qui incontriamo Paolo con Florence che non ci accompagneranno sulla pista ma si lanceranno con il parapendio per una insolita vista della pianura che si stende ai piedi del paese. Ammiro il loro coraggio, ma oggi non posso invidiare nemmeno i due impavidi innamorati, oggi ci aspetta la scalata al Lago di Pilato. Facciamo colazione, mi faccio rapinare in un negozietto per turisti per portare le leggendarie lenticchie a Roberta e si parte alla volta di Forca di Presta, punto di partenza alla ragguardevole quota di 1535 metri slm. Non sono mai stato a Castelluccio e la sua rinomata piana non mi delude, è una gioia per gli occhi. Nonostante siano i primi giorni di giugno è ancora presto per ammirare la fioritura, ma è comunque un superbo spettacolo della natura. Tutto il primo tratto di percorso sale costantemente consentendo una vista quasi aerea su Castelluccio e il pianoro in quota. Scatto numerose foto e sono rapito dal panorama: abituato alle mie amate foreste non mi aspettavo di trovare, a meno di tre ore d’auto da casa mia, un panorama quasi alpino. Siamo in alto e di alberi non c’è nemmeno l’ombra ma anche se cambiano i protagonisti madre natura offre comunque uno spettacolo di altissimo livello. A tratti mi pare di essere in Svizzera, soprattutto quando seguo con lo sguardo la strada di sassi che si stende sinuosa in queste praterie verdi irrigate dalle cime nevose che ancora a giugno regalano vita alla montagna. Il percorso è in costante salita e ci conduce fino alla croce dei 2000 metri dai quali scatto una foto sui monti della Laga, alle cui spalle è possibile vedere il massiccio del Gran Sasso. Giulio è un’ottima guida e riconosce le cime come sa fare chi le ha visitate, ma soprattutto chi le ama di un amore che non si può spiegare. Oggi fa un gran caldo e salire sbuffando senza la protezione delle fronde rende il percorso ancora più difficile, ma mentre salgo sbuffando e mentre gocce di sudore mi bruciano negli occhi rido sotto i baffi: se mi vedesse uno che non ama la montagna come potrebbe credere che sono felice? L’amore non ha ragione e non si può spiegare, l’amore è folle. Giulio dice alla partenza che ci vorranno circa due ore per raggiungere il Rifugio Zilioli, ma notando il passo che imprimiamo pronostica l’arrivo in un’ora e mezzo. In effetti sarà così e, senza troppo faticare arriviamo secondo i tempi di Giulio ai 2249 dello Zilioli. Dopo qualche scatto di rito e una bevuta ristoratrice decidiamo di scendere verso il Lago di Pilato un po’ titubanti: il fondo è ancora parzialmente coperto dalla neve e la discesa può essere un po’ rischiosa. Il sentiero non è battuto ma formato da milioni di ciottoli staccatisi nei secoli dai due massicci che abbracciano la conca del lago, quello del Redentore e quello del Vettore, il più alto dei Sibillini. Con molta prudenza e un po’ di fatica riusciamo comunque a raggiungere il lago e nuovamente si para alla nostra vista un panorama alpino, un angolo di Svizzera in mezzo alle Marche. Il Lago di Pilato è un piccolissimo specchio d’acqua che oggi è quasi al massimo della sua portata grazie al disgelo delle montagne che lo circondano. I due invasi si toccano nella tipica forma ad occhiali che ha reso noto il laghetto. Il panorama è fiabesco ed evocativo, non è difficile immaginare per quale ragione nei secoli gli uomini lo abbiamo eletto a luogo di culto e avvolto in un’aura di misticismo. E’ un antro di sibilla, uno scrigno da fiaba, uno specchio magico. Dopo la breve sosta pranzo risaliamo verso il rifugio: è il momento più difficile della giornata. La salita è ripidissima e la neve ed i ciottoli rendono durissimo riguadagnare i quasi 300 metri di quota persi per camminare sulle rive del lago. Parto a capo del gruppo e punto davanti a me un anziano signore in un buffo inseguimento a rallentatore senza riuscire a raggiungerlo. Al rifugio siamo incerti sul da farsi: siamo abbastanza stanchi, ma soprattutto la cima del Redentore è avvolta da nubi minacciose. Mentre valutiamo cosa fare le nuvole si dissolvono e la vista del sentiero in cresta si spalanca ai nostri occhi brillando sotto il sole. A questo punto rompiamo gli indugi e ci avviamo verso le tre cime che ci porteranno sul massiccio gemello del Vettore. La nostra scelta e la nostra fatica saranno ripagate dal più entusiasmante spettacolo che mi abbia mai offerto madre natura. Giulio scorge in cielo un rapace e, mentre stiamo cercando di capire se si tratta di un’aquila, di un falco o una poiana, io mi accorgo che il suo volo circolare non è casuale: lungo il versante si muove rapida una piccola sagoma che Giulio riconosce essere una lepre. A questo punto gettiamo lo sguardo ora in cielo ora sulla montagna per seguire rapiti la caccia; sembriamo gli spettatori di un match a Wimbledon, ma davanti a noi non c’è l’innocuo scontro fra due sportivi, piuttosto l’antico gioco crudele della caccia che cammina sul filo fra vita e morte. In primo luogo sono vinto dal fascino del rapace che ruota in cielo proprio sopra la mia testa, ma poi il mio cuore prende le parti del più debole e faccio il tifo per quel leprotto che arranca fra le rocce senza trovare rifugio. E’ spacciato. Mi vengono in mente le parole di Guccini: “…ho visto a volte che anche un topo sa ruggire ed anche un'aquila precipitata”. E allora vai leprotto, ruggisci all’aquila e sovverti il pronostico di questo scontro dove il nome del vincitore è già scritto. I due contendenti scavalcano il crinale e la lotta si sposta sul versante che si nasconde ai nostri occhi, quindi continuiamo a salire senza sapere come è andata a finire. Arriviamo fino alla seconda cima, Cima del Lago, alla ragguardevole quota di 2422 metri e qui troviamo un escursionista solitario che ammira Lago Pilato in silenzio. Dopo uno scambio di battute ci dice che ci siamo appena persi un bellissimo spettacolo, la caccia di un’aquila ad un leprotto. Quando gli spieghiamo che abbiamo ammirato lungo la salita tutta la prima parte della caccia ci annuncia che il rapace ha rinunciato ed il leprotto è riuscito a guadagnare la fuga gettandosi in picchiata sul fianco della montagna. Il mio cuore ha un sussulto: per rubare ancora le parole al poeta modenese, di tanto in tanto è bello vedere vincere Van Loon. 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Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
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