Mentre scendo lungo il sentiero abitualmente percorso dagli spericolati del down-hill penso fra me che la vita è un interminabile garbuglio di "se". Se fossimo venuti oggi che è una bella giornata, se non avessi offerto il mio aiuto, se non mi fossi girato per fare una foto. Se, se, se....
La scorsa settimana sono salito con gli a mici sul Monte Acuto a bordo della bidonvia e al rientro mi è caduto un bastoncino da trekking. Vogliamo tutti tornare a casa, inizia a piovere e il recupero non è facile, quindi decidiamo di abbandonare il bastoncino al suo triste destino. Però quando torno a casa mi dispiace. Mi dispiace perché ormai non so più deambulare senza gli inseparabili bastoncini e l'acquisto di una nuova coppia mi impoverirà di 100 euro. Mii dispiace ancor più per quel senso di vuoto che provo, pensando al mio amico bastoncino abbandonato tutto solo in mezzo al bosco. Rivedo nella mente l'immagine del suo salto nel vuoto e si sovrappone ad essa quella di Luke Skywalker dopo la rivelazione di Dart Fener, oppure quella di Gandalf con il suo epico "fuggite, sciocchi". E allora oggi faccio una cosa stupida, insensata e pateticamente sentimentale: mi alzo alle 6,00 e alle 7,30 ho già gli scarponi ai piedi e attacco la prima rampa della strada forestale che scala il Monte Acuto. Ho una meta, arrivare al pilone 9 e recuperare il mio bastoncino. Glielo devo, mi ha servito fedelmente per tanto tempo e, insieme al suo gemello, sono stati tante volte i miei unici compagni di viaggio. È una cosa che fa sorridere tutti quelli a cui lo dico, nessuno escluso. Fa un po' sorridere anche me, ma in cuor mio la considero una cosa importante. Anche gli oggetti hanno un'anima. Forse non è la loro, ma parte della nostra vi si trasferisce quando ad essi si collegano esperienze e ricordi. Quando abbandoni, perdi o dismetti un oggetto carico di ricordi, è come se ti lasciassi alle spalle una piccola parte di te. Incontro un fotografo amatoriale super attrezzato che dice di avere appena immortalato dei mufloni, incontro un escursionista solitario insieme al suo shiba, incontro una coppia di anziani che raccoglie legna, ma non trovo il mio bastoncino. Mi aggiro fuori pista fra i rovi percorrendo due volte il tratto che va dal pilone 10 al pilone 8, ma il mio bastoncino non c'è. Qualcuno lo ha preso oppure io non l'ho visto, ma la sostanza non cambia. Torno a casa con la sensazione di avere perso un amico. C'ho provato. Te lo dovevo.
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Mi sono perso le ultime due uscite delle Piadine a causa di impegni familiari ed ho mancato la terza a causa del maltempo, quindi quando mi arriva l'ennesimo invito del prolifico Gabriele accetto con entusiasmo, a prescindere dalla destinazione. Oggi è in programma una epica scalata del Monte Catria, cima a me ignota ma battuta più volte dagli amici randagi. Al Parcheggio dell'impianto di risalita il paesaggio è autunnale: freddo, montagna brulla e nebbia che nasconde la cima. Saliamo su una bidonvia che era già vecchia ai tempi della Grande Guerra e procediamo verso l'ignoto. Dopo qualche pilone iniziamo a vedere sotto di noi le prime chiazze bianche e all'arrivo troviamo un buon mezzo metro di neve. Se non fosse per lo spiccato accento marchigiano degli operatori dell'impianto sembrerebbe di essere in Trentino. La sensazione è amplificata anche all'interno del rifugio: camino, pareti in legno e stufe di ghisa. Roberta direbbe: "Voi andate, che io vi aspetto qui". Ma noi siamo le Piadine Randagie, aborriamo gli agi e affrontiamo le intemperie. O almeno così recita lo Statuto. Risaliamo la pista camminando prudentemente sul bordo destro, vedendo sbucare di tanto in tanto gli sciatori dalla nebbia come in un video game. La nebbia è così fitta che arriva prima il rumore degli sci che la visione degli sciatori stessi. In pieno Piadine style fatichiamo a trovare il sentiero perché la neve è alta e mancano punti di riferimento. Percorso mezzo chilometro mi si sbriciola sotto i piedi una ciaspola. A questo punto, come l'eroe di B movie sul Vietnam, dichiaro: "Ragazzi io non ce la faccio, andate avanti e non pensate a me". Manca solo la frase "portate le lettere a mia madre e dite a Jennifer che l'ho amata tanto". Torno al rifugio con il passo del grillo zoppo sprofondando di trenta centimetri ogni volta che poggio il piede destro. Improvvisamente mi ritrovo avvolto dalla nebbia e tutto è bianco intorno a me: in basso c'è neve, in alto c'è nebbia. Come direbbe Caposela "vengo dal niente e procedo verso il nulla". Dopo qualche secondo di sensazione alla "nonno di Tita Benzi" incomincio a pensare che farò la fine di Jack Nicholson in Shining. Se non hai compreso le ultime due citazioni cinematografice non sei eleggibile come lettore di questo blog. Arrivato al magazzino l'inserviente mi dice: "Per forza che si sono rotte, questa è robaccia di plastica e anche tu come me non sei un peso piuma." Servito il danno e anche la beffa. Mi fissa ai piedi due ciaspole identiche di colore diverso e riprendo la via, tanto per non annoiarmi solo soletto al rifugio. Esattamente nello stesso punto mi si rompe nuovamente la ciaspola destra. È ovvio che gli dei non vogliono che io proceda oltre. Ho molta considerazione per l'opinione degli dei e me ne torno zoppicando al rifugio dove trovo il randagio Paolo che ha avuto un problema analogo. Il tempo di una cioccolata calda e riprendiamo mestamente la strada di casa. Poiché voglio tornare sul Catria decido di imitare quelli che a Roma gettano una moneta nella fontana di Trevi, facendo cadere un bastoncino da trekking da 50 euro dalla bidonvia. Mi è costato un po' ma ho una certezza: un giorno tornerò sul Monte Catria. |
Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
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