Quest'anno il direttivo delle Piadine aveva messo in programma per la Festa della Repubblica la tanto desiderata escursione delle 52 gallerie del Pasubio, ma un inverno particolarmente rigido finito quasi a ridosso dell'estate ha reso impraticabile il sentiero, ancora coperto dalla neve alta. Costretti a cambiare programma decidiamo di puntare sul Parco Nazionale Appennino Tosco Emiliano, meta già presa in considerazione negli anni passati. E così, per il secondo anno consecutivo le Piadine Randagie cambiano veste in Tigelle Randagie piantando i propri scarponi in terra tosco emiliana. Così l'escursione delle 52 gallerie diventa quella dei 100 laghi, così come viene chiamata questa zona montuosa a cavallo fra le due regioni. Segliamo un percorso molto lontano da casa, in provincia di Reggio Emilia. Dopo una mia iniziale proposta Gabriele prende in mano la situazione e, da buon Ragioniere/Presidente, programma ogni singolo dettaglio cambiando il punto di partenza, prenotando il rifugio e ridisegnando felicemente il percorso. Le sue scelte si riveleranno azzeccatissime. A causa di vari problemi a un paio di giorni dalla partenza sono costretto alla rinuncia, ma in piena zona Cesarini riesco nuovamente a riunirmi al gruppo. Partiamo nel primissimo pomeriggio da Rimini in formazione compatta a bordo di due mezzi sui quali viaggiano rispettivamente Andrea (the driver), Paolo, Gabriele e lo scrivente. Sull'altra auto quote rosa e rappresentanza animale: Gianluca e Giorgia in compagnia dei fidi Joy e Giuly. Il viaggio è interminabile e le ultime rampe ricordano una corsa ciclista. La nostra cima Coppi è il Passo Pradarena dove scopriamo che lo squallido rifugio al quale ci eravamo preparati in realtà è un bell'albergo dove mangeremo e ceneremo benissimo. L'incognita cani in stanza non presenta sgradite sorprese e la notte trascorre senza problemi, a parte l'insonnia della Giorgia preoccupata per il comportamento di Giuly. Ci alziamo presto e dopo una lauta colazione iniziamo il nostro hike. Inizialmente incontriamo qualche difficoltà nel trovare l'imbocco del percorso ed io paragono il nostro avanti e indietro a quello dei cavalli alla partenza del Palio. Finalmente troviamo la quadra, cade il canapone e ci lanciamo con la nostra proverbiale agilità sulla sterrata che ci porterà al Passo di Cavorsella. Dopo 20 metri però perdiamo Giuly, la quale si lancia nel bosco alla ricerca di non sapremo mai cosa. La sosta si protrae per 15-20 minuti. Giorgia e Gianluca cercano l'impunita sempre più preoccupati, mentre il resto del gruppo resta fermo non sapendo come gestire l'emergenza. Memori di una disavventura analoga incominciano a spalancarsi davanti ai nostri occhi gli scenari più funesti ma, come insegna Paulo Coelho, "l'ora più buia è quella che precede il sorgere del sole", infatti proprio un attimo prima che Gabriele si tagli le vene Giuly compare trotterellando sul nostro stesso sentiero, completamente noncurante delle nostre ansie. Scampato il pericolo, dopo pochi passi se ne presenta un altro: in pieno salita squilla il cellulare di Gabriele per un problema sul lavoro. La sua lautamente retribuita reperibilità H24 lo costringe a gestire in questo ufficio nel bosco una emergenza che gli toglie momentaneamente il buonumore. Risolto il problema alla fine della salita sbuchiamo dal bosco per ritrovarci in un paesaggio fiabesco: montagne lussureggianti di praterie sconfinate si parano davanti ai nostri occhi, manco fossimo nel Wyoming. Il sentiero taglia il fianco del monte ed incontriamo un capriolo/daino proprio davanti a noi. Gabriele va in estasi e appena si riprende inizia ad armerggiare con la sua inseparabile macchina fotografica e, proprio mentre sta per inquadrare un primo piano da copertina del National Geographic, l'animale scompare dal suo obiettivo: Giuly sta inseguendo l'ungulato correndo a perdifiato. Mentre questo saltella agile verso il bosco il nostro cane cade rotolando rovinosamente in una spettacolare capriola, fortunatamente senza conseguenze disatrose. Altri metri nel Wyoming e incontriamo un viandante che ci tiene moltissimo ad ammonirci sul percorso. Si tratta di un volontario del CAI che conosce ogni pietra del posto e si prodiga in consigli non richiesti, preoccupato dal nostro randagismo. Riprendiamo il percorso sempre più spettacolare su balze rocciose che si affacciano su strapiombi, salendo verso la cima del Monte la Nuda dove finisce sia un impianto di risalita che la poesia. Girato l'angolo ci ritroviamo davanti un eco-mostro, un rifugio in malarnese, tutti gli squallidi resti del turismo invernale e, a fondo valle, Cerreto Laghi, la Cortina d'Ampezzo dei poveri. Eravamo in Wyoming ora siamo a Villa Grande. Cammino a testa bassa per non fissare nella memoria il ricordo di questa tappa e, abbandonato lo scempio, ci rituffiamo in un bosco lussureggiante. Lo scenario è nuovamente fiabesco, ma un oscuro presagio aleggia davanti ai miei occhi. A tanta discesa corrisponderà altrettanta salita, con la differenza che il dislivello attaccato agevolmente questa mattina presto a mente e gambe fresche, risulterà ora essere una parete verticale considerando i 15 chilometri sul groppone e soprattutto una discesa con tratti di 25-30° di pendenza. Guadiamo un fiumiciattolo impetuoso a piedi nudi e iniziamo la risalita verso il passo. Dopo alcune rampe vado in crisi e lascio che il gruppo mi distanzi. Non sto troppo male, sono solamente lento. Il problema è che quando raggiungo il gruppo questi riparte subito al motto "è arrivato Massimo, ripartiamo". Come direbbero Lillo & Greg "Estiqaatsi"! Le frequenti pause con ciambella, verdicchio e siesta hanno un effetto rigenerante sul gruppone, che riparte ogni volta con rinnovata vitalità. Il mio incedere lento privo di vere soste invece matura in un declino preoccupante. Al fiume sembravo Thor, alto biondo e muscoloso. Al Passo del Lupo sembro Joda, chino e curvo con la lingua felpata che mi strisci fra le gambe. Gli ultimi metri di sentiero sono facili, in una leggera salita che in condizioni fisiche normali non considererei nemmeno tale. Invece la nausea che mi ha aggredito alla bocca dello stomaco a metà salita si fa sempre più fastidiosa, al punto che a 300 metri dalla meta devo abbandonare il gruppo. A dire il vero tecnicamente sono loro che abbandonano me. Mi vedo già come Jack Nicholson nella scena finale di Shining: morto congelato a pochi passi dall'Overlock Hotel. La giornata afosa scongiura il pericolo di assideramento, ma l'ipotesi di morte nel bosco non è lontana. Nel mezzo del delirio penso: se almeno passasse un branco di cervi avrei delle foto spettacolari da fare vedere a quegli str...epitosi amici per farli crepare d'invidia. Però il Dio dei boschi non placa la mia sete di vendetta e non passa nemmeno uno scarafaggio. Cerco di calmare il disagio mangiando e bevendo qualcosa. Quando riprendo il cammino non sto ancora bene ed arrivo di cattivo umore all'hotel. Non ce l'ho con le Piadine Randagie, ma con la vecchiaia. Il bilancio complessivo è assolutamente positivo, ma quell'ultimo chilometro non lo dimenticherò mai.
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Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
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