Lago di Barrea.
La famiglia mi ha preceduto in Calabria ed io, che sono rimasto scapolo per una settimana di lavoro supplementare, inizio il lungo viaggio di 1000 chilometri che mi ricongiungerà ai familiari. Poiché, volendo, il viaggio dalla Romagna alla Calabria passa per l'Abruzzo, ne approfitto per fare un trekking in solitaria, la mia prima esperienza in terra marsicana. Decido di iniziare col botto e scelgo il famoso Parco Nazionale dell'Abruzzo, un autentico Eldorado nostrano per gli amanti della montagna, soprattutto noto per la ricca fauna che lo popola. Meno interessato alle specie vegetali e molto attratto da quelle animali, programmo il mio viaggio nella speranza di fare uno zoo-safari indimenticabile. Il sito ufficiale del Parco e quelli di altre organizzazioni che promuovono tour guidati, dichiarano che nel parco sono presenti più animali che piante ed io cerco di organizzare un trek nelle zone dove maggiormente si concentra la presenza animale. Purtroppo la Val di Rose è off-limits: a causa del grande afflusso di turisti, in agosto il sentiero viene chiuso al libero traffico e si può percorrere la valle solo se si riesce ad iscriversi ad un gruppo con guida. Ho l'impressione che più che per tutelare i camosci, motivazione ufficiale, questo escamotage sia stato escogitato per incassare i 15 euro richiesti ad ogni partecipante. Devo rinunciare comunque perché non ce la faccio con la tempistica e dirotto su un altro percorso che viene definito un "must" dalle recensioni sulle riviste cartacee e online: da Barrea a Lago Vivo. Arrivo sul posto e fatico a parcheggiare l'auto: non c'è molto posto ed il sentiero è davvero gettonato. In effetti la prima parte di camminata sulla sterrata ripaga già in parte il prezzo del biglietto, con una bella veduta sul lago di Barrea, il primo dei tre laghi che vedrò oggi. Poco dopo abbandono la sterrata e mi infilo nel bosco, trovandomi più a mio agio. Il sentiero percorre il greto di un vecchio rio oramai asciutto e camminare sui sassi sconnessi non rende agevole la salita. Ciò che complica veramente la camminata però non sono le pietre: questo percorso porta ad un alpeggio ed è quindi solcato da numerosi bovini i quali non omettono di lasciare maleodoranti deiezioni. Incontro tre signore che devono avere abbandonato l'adolescenza da alcuni decenni. All'uscita dal bosco si apre una vista alpina. La fatica non le spaventa, anche se salgono piano piano. Le supero e, dopo averle salutate domando: "E' stato concimato bene, vero?" Le lascio che ancora se la ridono. Il sentiero prosegue in mezzo ad una faggeta spettacolare. Secondo la guida dovrei vedere cervi e daini, ma probabilmente è troppo tardi per fare questi incontri; forse sarei dovuto venire alle otto del mattino, ma chi ce la faceva, considerate le quattro ore d'auto per raggiungere il posto? La salita si fa sempre più impegnativa e, ad un certo punto, sono costretto a fermarmi per riposare un po'. Dico a me stesso che è solo una sosta per bere, ma in realtà sono davvero stanco. Da Barrea al Valico del Buon Passo sono 45 minuti di salita costante, per un dislivello di circa 500 metri che porta dai 900 della partenza agli oltre 1600 della cima Coppi odierna. Superata la Madonna delle Grazie, una effige incastonata nella roccia, il sentiero si fa meno impegnativo e prosegue per alcune centinaia di metri nel bosco. Uscito dalla foresta mi ritrovo ad ammirare un panorama quasi alpino: è la conca di Lago Vivo, utilizzata come pascolo dagli allevatori, un'oasi di verde incorniciata dalle pareti rocciose dei monti più alti del parco, sulle quali svetta la cima del Petroso, alto ben 2249 metri. Al centro Lago Vivo, divenuto un pascolo per cavalli e bovini. Anche qui natura e piante quante ne vuoi, ma di animali nemmeno l'ombra. Mi correggo, scorgo in lontananza delle sagome mobili e, proprio mentre spero di essermi imbattuto in un gruppo di orsi, scopro che si tratta di mucche e cavalli che brucano là dove dovrebbe esserci Lago Vivo. La mia guida recita che nel periodo estivo il lago riduce la sua portata, ma è una dichiarazione ottimista perché io di acqua non ne vedo affatto. Mi domando chi sia stato il burlone che ha scelto un nome simile per uno specchio d'acqua così piccolo che in estate scompare. Perché questo lago è morto più che vivo, o almeno agonizzante. Mentre scatto foto più di un giapponese a San Pietro penso fra me e me quanto sono fortunato a trovarmi in questo bell'angolo d'Italia, lontano dai luoghi del turismo di massa. Non faccio in tempo a terminare la riflessione che, superata una cunetta, mi ritrovo davanti una cinquantina di persone sdraiate in beato spaparanzo al limitare del pascolo. La maggior parte dei trekkers sale fino a qui per ritornare al punto di partenza ripercorrendo lo stesso sentiero, ma io ho scelto l'opzione del giro ad anello e supero con un certo disprezzo i pigroni che non hanno la forza di completare il percorso. Col senno di poi comprendo per quale ragione hanno scelto l'andata e ritorno piuttosto che l'anello. Probabilmente non è stata la pigrizia. Da qui in poi il percorso perde progressivamente il suo fascino: la strada scende sempre di più e la vegetazione è sempre meno fascinosa. La diga del Lago della Montagna Spaccata. Il sentiero rimane decente fino al terzo e ultimo lago del giorno, che risponde all'evocativo nome di Lago della Montagna Spaccata: roba da favola horror. Da questo punto inizia una sterrata allo scoperto, tutta a bassa quota, dalla quale nell'ultimo chilometro si vede tutta la valle abitata, con tanto di strada statale e rombo di motori. Insomma questa prima esperienza abruzzese è positiva solo in parte: panorama bellissimo per buona parte del percorso, ma finale deludente. Di animali nemmeno l’ombra. Ho diversi buoni motivi per tornare. Abruzzo non bocciato, ma rimandato a settembre.
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Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
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