Al contrario delle mie consuete abitudini, il post che scelgo di pubblicare oggi non è il resoconto di un trekking, anche se in qualche modo è comunque relazionato ad un trekking recente. Oggi ho deciso di raccontare una storia, più precisamente una storia di fantasmi. E' la vigilia di Natale e, chissà per quale strana ragione, scrittori ben più illustri del sottoscritto hanno narrato in passato di fantasmi, associandoli al Natale. Non posso fare a meno di citare, ad esempio, "A Christmas Carol" di Charles Dickens. Forse il clima caldo e confidenziale che si creava un tempo attorno al camino, portava a confondere e miscelare storie di Natale a storie di fantasmi, in un inconsueto quanto efficace abbraccio fascinoso. Qualcosa simile al concetto di "Eros e Thanatos ". Tant'è, ecco a voi la mia storia di fantasmi, con tanto di augurio e morale a corollario. Come ogni favola che si rispetti anche la mia deve iniziare con un evergreen "c'era una volta", infatti pur trattandosi di un fatto verificatosi di recente, trae origine da una leggenda antica. Lo scenario è quello delle mie escursioni montane ed è ambientata nelle suggestive foreste del casentinese. La leggenda a cui faccio riferimento è quella del fantasma di Farniole. Tanto tempo fa viveva in un podere, il podere di Farniole appunto, un servitore ubriacone insieme al suo padrone. Al padrone, amante del buon vino, venne fatto dono di una botte di vino molto pregiato. Il padrone diede disposizione affinché i suoi servi lo riponessero in un angolo speciale della cantina del suo casale, dichiarando che quello sarebbe stato il vino delle grandi occasioni. Tra questi servi ce n'era uno che amava il vino almeno quanto il suo padrone. Egli, a differenza del suo padrone, era costretto a causa della povertà a bere vino di pessima qualità. Ed era già contento quando riusciva a procurarselo quel vino di pessima qualità, perché invece il più delle volte non poteva bere neppure quello. L'idea di potere assaggiare anche solo una goccia di quel nettare pregiato alimentò la sua cupidigia per tutta la giornata lavorativa e, giunta la notte e spinto dal desiderio, trovo l'ingegnoso sistema di suggere una stilla si vino dalla botte, facendovi penetrare una cannetta sottile. Il sapore del vino era delizioso e, in effetti, nessuno si sarebbe accorto del furto se il servitore non fosse stato così amante del vino e se quel vino non fosse stato così buono. Il giorno successivo, mentre lavorava, il servitore non riusciva a togliersi dalla mente il piacere del vino e, appena tutti nel casale furono a letto, entrò nuovamente di soppiatto nella cantina per rubarne ancora un po', giurando a se stesso che quella sarebbe stata la sua ultima sorsata. Ma il vino era troppo buono e il desiderio troppo grande, tanto che il servo indugiò un po' troppo nella sua trasgressione al punto che, quella che sarebbe dovuta essere una trascurabile quantità, divenne invece una sensibile quantità di vino sottratto alla botte ed il padrone inevitabilmente si accorse del furto. A questo punto decise di spiare la cantina e gli fu molto facile scoprire l'identità del ladro. A questo punto la reazione del padrone fu scomposta ed eccessiva: si avventò sul servitore e lo picchio tanto, al punto da ucciderlo. Riconquistato il senno l'uomo si trovò davanti ad un bivio: confessare il tutto o mantenere il segreto occultando il corpo? Sentendosi in parte giustificato dal fatto di essere stato vittima di un furto, l'uomò zittì la sua coscienza e decise per la seconda soluzione. Faticosamente raccolse il cadavere del servitore e lo mise all'interno del forno dove veniva cotto il pane della piccola comunità, accese il fuoco e chiuse lo sportello con un chiavistello, nella speranza che in pochi minuti il fuoco e l'alta temperatura facessero il resto, carbonizzando il cadavere e nascondendolo per sempre. Il servitore era un povero diavolo solo al mondo e nessuno avrebbe reclamato la sua presenza. I primi giorni lo avrebbero cercato ma poi, essendo nota la sua indole di beone, tutti avrebbero pensato che poteva essere caduto in qualche burrone mentre tornava barcollando dall'osteria, fatto non insolito. Il problema è che le botte del padrone non erano state sufficienti ad ammazzare il poveretto e questi riprese i sensi dopo poco. Il padrone sentì le urla ed i colpi allo sportello del forno e comprese il suo errore di valutazione. A questo punto si trovò nuovamente davanti ad un bivio: estrarre il poveretto o persistere nella crudeltà? Come avrà già ben capito chi sta leggendo, il malvagio padrone scelse anche in questo caso la soluzione più crudele e mantenne serrato l'uscio fino a quando non udì più colpi o lamenti provenire dalla fornace. Se la storia finisse qui sarebbe soltanto una storia di abuso, crudeltà ed omicidio efferato ma, l'ho già scritto, è una storia di fantasmi. Pochi giorni dopo il fatto il padrone morì per cause insolite ed inspiegabili e nel podere iniziarono a verificarsi altri fatti strani. Fra i membri della piccola comunià incominciò a venire fuori la verità su quanto accaduto quella notte, forse perché qualcuno era stato in parte testimone oculare del misfatto. La voce iniziò a circolare ed incominciò a stuzzicare la fantasia e la superstizione dei contadini residenti in quei boschi. A quel punto prese piede l'abitudine di attribuire al fantasma di Farniole tutti i fatti inspiegabili che si verificavano nella valle e, passando di bocca in bocca, la storia divenne leggenda: era ovvio che lo spirito del povero servitore ucciso barbaramente ed ingiustamente si aggirava per i boschi vendicandosi con tutto e tutti per quella sua fine crudele. La leggenda del fantasma di Farniole è nota ed il casale dove probabilmente si è verificato il misfatto, oggi è ancora in piedi, mirabilmente ristrutturato. L'ultima volta che ci sono tornato l'ho fatto insieme ad un gruppo di amici conosciuti su internet e non me la sono sentita di raccontare loro tale storia. Come l'avrebbero presa? Mi avrebbero preso in giro, tacciandomi di creduloneria? Non conoscendoli abbastanza decisi di mantenere il silenzio sulla leggenda. Giunti in prossimità del casale lo trovammo disabitato e circondato da una spessa coltre di neve. Era evidente che non c'era nessuno al suo interno, tanto che i gradini che conducono fino al bel portone di ingresso, erano coperti da uno spesso manto di neve intonsa. Scattata qualche foto e ammirato il casale ed il paesaggio ci avviammo nuovamente sul sentiero. A questo punto sentì dire ad uno dei miei compagni di viaggio, rivolgendosi ad un altro: "Il casale però non è abbandonato, qualcuno c'è dentro perché ho visto un signore che ci guardava dalla finestra del secondo piano...." Qui finisce la mia storia. Sandro ha visto un fantasma? Certamente no, però a me piace pensare che lo abbia fatto. Esistono mille spiegazioni razionali per smascherare la mia storia. In effetti non sono nemmeno certo che quel casale sia il vero teatro del misfatto narrato dalla leggenda. Ma non è più bello pensare che abbiamo incontrato un fantasma vero, piuttosto che denudare la fantasia con le armi della razionalità? Ad ognuno la sua risposta, la mia è decisamente affermativa. Penso che noi adulti dobbiamo ritrovare quello spirito ingenuo ed innocente che avevamo da bimbi, quando potevano raccontarci tutto ed il contrario di tutto e noi eravamo disposti a crederlo, forse solo per il semplice fatto che era molto più divertente della verità. Questa è la mia storia di fantasmi che condivido a Natale ed anche il mio augurio per queste Feste, ma soprattutto per l'anno a venire: che possiamo ritrovare un infantile atteggiamento verso ciò che ci circonda, imparando a giocare con la fantasia e prendendo tutto un po' meno sul serio sperando di incontrare, camminando nei boschi, fantasmi, fate, gnomi e folletti soltanto perché la realtà, il più delle volte, è molto più noiosa del mondo della fantasia.
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Oggi è una giornata insolita, per due diversi motivi. Dopo la bellissima escursione di sabato scorso pensavo di avere messo i bastoncini al chiodo per quest'inverno, invece le previsioni mi regalano un'altra finestra di bel tempo e non posso fare a meno di accettare questo inatteso regalo del meteo. Ottenuto il permesso del Maresciallo, lancio nel web la mia proposta di trekking che viene accolta dal solo Matteo. Ci diamo appuntamento alle 7 del mattino al casello di Rimini Nord e, puntualissimi, partiamo per la nostra escursione. Questo è il secondo aspetto che rende la giornata insolita: due sconosciuti incontratisi sul web che accettano di condividere un'intera giornata camminando per ore spalla a spalla, con il solo comune denominatore della passione per la montagna. Così come è accaduto per i nuovi amici conosciuti sabato scorso, anche questo incontro è una bellissima sorpresa: io e Matteo ci "prendiamo" subito ed entriamo presto in sintonia. La conversazione è gradevole e troviamo diversi punti di contatto. Ovviamente a farla da padrone è l'amore per la montagna, ma ci sono anche tante altre cose che scopriamo vicendevolmente e che allietano il percorso. Ho proposto a Matteo un trek che è una novità anche per il sottoscritto e lui accetta di buon grado. Io ho in tasca una piantina rubata agli amici di ID3King e lui il suo "bombardino", ovvero il GPS Dakota della Garmin, davvero un bell'attrezzo. Lasciamo l'auto a Lago di Corniolo e alle 8,30 del mattino incominciamo a camminare. E' un tranquillissimo sabato mattina e nella piccola frazione di poche case sembra che tutti stiano ancora dormendo, l'unica anima viva che si vede un giro è un gatto che riposa tranquillo nel centro della strada. Gli passiamo accanto con l'auto e non solo non si sposta, ma ci guarda con sufficienza, quasi disturbato dal fatto che stiamo violando la sua proprietà. Strani animali i gatti. L'aria è piacevolmente fredda, ma il cielo è sgombro da nuvole e ai primi raggi di sole, percorsi i primi metri in salita, incominciamo a sentire caldo. E' davvero una giornata perfetta per fare trekking. La neve che abbiamo trovato su questi monti una settimana fa ora è solo un ricordo; solo le cime del Falco e del Falterona sono leggermente imbiancate, ma per il resto il bel tempo degli ultimi giorni ha sciolto le prime nevi invernali. Sono felice perché, se pur avendo scelto un percorso a quota abbastanza bassa, c'è un punto che mi preoccupa un po'. Si tratta delle cosiddette Ripe Toscane. Ho cercato informazioni su internet ed ho appreso che in questo punto si lascia il bosco per camminare allo scoperto su un viottolo scavato nella roccia, rinforzato in alcuni punti per favorire il passaggio e scongiurare pericolose frane. In caso di neve o ghiaccio il tratto sarebbe pericolosissimo, ma l'assenza di entrambe ci regala, oltre alla possibilità di transitare in sicurezza, un meraviglioso panorama sulla valle sottostante. Matteo è particolarmente colpito da questo punto panoramico e sono contagiato dal suo entusiasmo. La via prosegue fra saliscendi nel bosco, con largi tratti aperti che si affacciano sul profilo incombente degli oltre 1600 metri del massiccio del Falterona. Camminiamo lungo la sinistra idrografica del Bidente delle Celle e ovunque incrociamo cascatelle che alimentano il fiume portando la neve disciolta da monte a valle. Anche questo trek, come quello di una settimana fa, è un percorso nella storia oltre che nella natura. Ogni tanto incontriamo tangibili testimonianze della presenza dell'uomo in queste valli. Oltre a diversi ruderi abbandonati ci imbattiamo in due piccoli borghi deliziosi. Il primo non lo avevo mai sentito nominare, si tratta de La Fossa, un piccolo agglomerato urbano a quota 851, integralmente ristrutturato. E' una bella sorpresa: sembra un presepe medievale, mancano solo i pastori e i suonatori di cornamusa. Proseguiamo il nostro cammino e dopo poco raggiungiamo il borgo Pian del Grado, divenuto noto per essere stato sede di un contingente partigiano durante gli anni della seconda guerra mondiale. Pian del Grado è facilmente raggiungibile in auto percorrendo la forestale che si stacca dalla Strada Statale che porta da Santa Sofia al passo della Calla, all'altezza dell'agriturismo Il Poderone. Arrivarci dal bosco però è tutta un'altra cosa. Si apre improvvisamente alla nostra vista, un minuscolo borgo alle pendici del massiccio del Falterona. Sostiamo brevemente sul poggio che ne precede l'arrivo dal sentiero e rimaniamo a guardare il panorama, in estatico silenzio. Solo questa vista vale il prezzo del biglietto. Dopo avere chiacchierato senza soluzione di continuità per quasi quattro ore nel bosco e un'ora e mezza d'auto, improvvisamente ci ammutoliamo. La cosa non è concordata, ma sembra immediatamente ovvio lasciare spazio al silenzio per ammirare tanta pace e tanta bellezza. Dopo alcuni secondi do una pacca sulla spalla a Matteo, che risponde con un sorriso compiaciuto, e riprendiamo la strada verso il borgo. Lo stato di conservazione è eccellente, ma oggi non c'è nessuno e camminiamo in mezzo alle case come in un villaggio fantasma. Nella bacheca del borgo trovo una bella ode agli alberi, indiscussi guardiani della foresta. Io sono l'albero. Quando tu sei venuto al mondo la tua culla era di legno. Nella tua vita hai camminato con gli zoccoli di legno. Ti sei seduto tante volte alla mensa e la tavola era di legno. Hai imparato a leggere e a scrivere sui banchi di legno della scuola. Hai pregato qualche volta sulle panche di legno della Chiesa. Quando morirai la tua bara sarà di legno. Perciò rispettami, perché io sono l'albero. Il tempo di scattare qualche foto e riprendiamo il cammino imboccando la facile strada forestale che ci porterà al Poderone. Per tutto il sentiero abbiamo incontrato numerosissime tracce di daini e cervi, probabilmente anche di cinghiali, senza vedere un solo animale. Appena lasciato Pian del Grado distinguiamo nel fango inequivocabili tracce di lupo. Forse è questa la ragione per cui non abbiamo visto ungulati? Giunti al Poderone incrociamo alcuni escursionisti che, dopo un lauto pasto dalla Lorenza, raggiungono in tranquilla passeggiata digestiva Pian del Grado. Da qui imbocchiamo il sentiero che ci porta fino ai ruderi del cosiddetto Castellaccio di Corniolino, antica torre di avvistamento medievale. Da qui è una picchiata che in circa mezz'ora ci riconduce al punto di partenza. E' stata una lunga galoppata di sei ore, trascorse quasi tutte a camminare a passo sostenuto, con piccole pause per scattare qualche foto. E' stata un'altra bella occasione per entrare in contatto con la montagna e suggerne lo spirito. Un'altra occasione per confrontarsi con il creato e guardarsi dentro, scoprendosi piccoli e grandi allo stesso tempo. Oggi è un giorno davvero speciale. Per la prima volta vado in escursione con persone che non conosco e lo faccio con appassionati della montagna incontrati casualmente su internet. Chi mi conosce sa che questo non appartiene alla mia indole, timida e riservata, ma la passione per la montagna e il desiderio di condividere la gioia di camminare fra i boschi con qualcuno che ha la mia stessa benigna malattia, mi spingono a fare qualcosa che per mille altre attività non sarei disposto a fare. Tutto nasce da una proposta di Sandro nel sito amico "Avventurosamente". Dal suo primo messaggio alla prima uscita passano circa due mesi, ma alla fine riusciamo a quagliare ed eccoci qua. Nella mia veste di "padrone di casa" scelgo un percorso a bassa quota perché nei giorni scorsi una gelida perturbazione ha imbiancato le cime nostrane e oltre i 500 metri si trovano già circa 15/20 cm di manto nevoso. Dopo alcune consultazioni con altri amici del web, opto per un anello che conosco, avendolo percorso in solitaria nella bella stagione (vedi post maggio 2012). E' il percorso che si sviluppa sulla destra idrografica dell'omonimo bacino e che sale dal vecchio caseggiato di Ridracoli sino a Pratalino, cima Coppi odierna a circa 1000 metri slm. I miei compagni d'avventura, oltre al già citato Sandro, sono Iulia, Marco, Luna e Paolo. Con me è venuto anche il buon vecchio Fabio, miracolosamente libero da impegni professionali. A impreziosire la compagnia abbiamo anche due meravigliosi esemplari di Labrador: Jonathan e Blondie. La bellezza di questo percorso, oltre al paesaggio ricco e lussureggiante di vegetazione tipico di questa zona di Romagna, sta nell'elemento socio-antropologico, a mio avviso non trascurabile: lungo la via si incontrano frequenti testimonianze della lotta che l'uomo ha sostenuto con questa terra, generosa e allo stesso tempo aspra. A cavallo fra l'800 e il '900 la cosidetta "fame di terra" spinse piccole comunità a fondare dei micro borghi lungo i declivi che oggi si affacciano sull'invaso della diga. Quanto deve essere stato difficile occuparsi di pastorizia, allevamento e, soprattutto, agricoltura in queste terre pendenti e fitte di alberi ad alto fusto. Certamente queste avranno fornito anche materia prima a boscaioli e carbonai, ma quanto sarà stato difficile commercializzare il frutto delle loro fatiche. Senza tenere conto che siamo a novembre e a mille metri procediamo a fatica in 30/40 centimetri di neve fresca. Che cosa avranno dovuto affrontare le genti che vivevano in questi luoghi oltre 100 anni fa, in un pianeta che non conosceva ancora gli effetti del surriscaldamento del globo dovuto all'effetto serra? Oggi camminiamo ben equipaggiati con abbigliamento tecnico e robusti scarponi idrorepellenti ai piedi, ma il mio pensiero non può non andare a quei bambini che si recavano alla scuola di Ridracoli o di Casanova dell'Alpe percorrendo chilomentri di bosco ripido. Probabilmente però non avevano il senso del disagio che proviamo noi vivendo in una società di agi. I miei nuovi amici apprezzano enormemente la bellezza del percorso e il loro stupore è la mia gioia. I loro commenti mi inorgogliscono tanto che devo sforzarmi di rammentare che non ho meriti se questa natura è tanto bella. Mi sento come il cicerone di un museo: li guido nella visita, ma nessuna delle opere esposte è frutto della mia arte. Oggi Madre Natura ci ha fatto anche un dono extra: il fascino del panorama è arricchito dalla neve. La coltre bianca ha reso abbastanza impegnativi gli ultimi chilometri di salita, soprattutto il tratto che porta dal bel casale ristrutturato di Farniole alla croce posta sulla strada forestale che conduce a Pratalino, ma tanto sforzo è ripagato da una vista senza prezzo. Giunti a Casanova facciamo una lunghissima pausa pranzo ed è anche un'occasione per ammirare, dalla casa più alta del borgo ed ex sede della scuola, la Foresta della Lama sul versante destro e la Valle di Pietrapazza su quello opposto. Paolo e Marco si sono portati vino e grappa, Iulia e Luna prelibatezze dolci e salate, ma io sono costretto a vestire gli scomodi panni dell'asociale. Per principio religioso non bevo alcolici e, per scelta, mangio sempre molto poco lungo il percorso. Mi rendo conto che non è un bel biglietto da visita da presentare a persone tanto cordiali e generose, ma non voglio né scendere a compromessi con la mia fede, né affrontare la discesa per Cà di Sopra con un senso di pesantezza sullo stomaco. Senza dimenticare che questa sera mi aspetta un invito a cena con grigliata che, conoscendo padrone di casa e commensali, metterebbe in difficoltà un leone. La lunga sosta con addosso i panni sudati della salita ha raffreddato i miei muscoli e faccio la seconda brutta figura di giornata: mi fermo per crampi almeno quattro o cinque volte lungo il tratto che porta fino alla diga. Non mi era mai successo di avere tanti problemi muscolari lungo il cammino, di solito al massimo sono indolenzito il giorno successivo, se faccio un trek particolarmente impegnativo, ma oggi evidentemente è una giornata diversa sotto tutti i punti di vista. Tento di giustificare il tutto attribuendo i crampi all'assenza di potassio perché ho dimenticato di portarmi appresso le immancabili banane, ma Fabio & Company non mancano di rammentarmi la vera causa dei miei dolori: a so' vec! Giunti alla diga la giornata volge al termine. Il timido sole autunnale che ci ha accompagnato per quasi tutto il giorno ha infatti ceduto il passo a nuvole minacciose. Inoltre la pecca di questo bel giro è proprio in quest'ultimo tratto di rientro al campo base, tutto su una poco fascinosa strada asfaltata. Pazienza, oggi non posso certo lametarmi, ho fatto una bella scorpacciata di montagna riempiendomi gli occhi di monti, valli, fiumi e alberi. Strada vecchia, nuovi amici. Il bilancio è assolutamente positivo. |
Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
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