Ho da sempre poco apprezzato le montagne marchigiane e, se fosse stato per me, probabilmente non ci sarei mai andato. Invece ultimamente sto camminando sempre più lontano dalle mie amate foreste, spinto dal desiderio di camminare per il puro gusto di farlo ed anche dal desiderio di vivere questa passione con amici che condividono il mio stesso interesse, la mia stessa passione, il mio desiderio di godere la natura un passo alla volta, la mia volontà di salire senza risparmiare la fatica, evitando scorciatoie. Gabriele vuole alternare le escursioni, camminando la metà delle volte in terra sacra e l'altra metà in terra profana, quindi accetto la sua proposta e mi unisco volentieri a lui, Gianluca e Joy per una escursione su quel Catria al quale già pagai un tributo di inutile fatica ed esoso smarrimento due anni fa (trek 77). Partiamo alle pendici nord del Monte Acuto in una bella giornata di sole limpido che promette caldo e sudore. I prati sono accesi di verde e di giallo, sono pascoli di erba e ginestre. Incontriamo numerosi abbeveratoi, a testimonianza dell'uso intensivo che da sempre hanno fatto gli allevatori di queste montagne, sfruttandone il suolo ricco e fertile, terre ideali per pascolare i bovini. Camminiamo sul fianco della montagna in leggera salita. Come sempre mi sento dominato dall'imponenza di queste cime e provo un misto di emozioni fatto di riverenza e sfida. Arriviamo alla sella che divide la cima del Cucco e del Catria ed ho nelle orecchie le melodie di Dan Gibson mentre ammiro questi prati pettinati dal vento ed un cielo striato da nuvole che giocano a rincorrersi su questa tela blu. Saliamo verso una cima che possiamo solo intuire, nascosta da una tenda fatta di foschia e mistero. Il passo si fa più lento, il respiro più affannoso ed il cuore batte più forte. È in questi momenti che sono costretto ad ascoltare di più il mio corpo, la fatica rende tutto più essenziale ed allontana i pensieri superflui ridimensionando le cose di minor valor valore. Salire è come guardare un quadro: mano a mano che paghi il tributo della fatica tutto ciò che si trova ai lati del quadro assume contorni sfuocati, si allontana fino a scomparire ed allora riesci a vedere con occhi nuovi quello che prima non percepivi, distratto ed assorto. Quando sali sei sempre solo, anche in gruppo. Tutto diventa bianco. Ci sei solo tu. Ti guardi dentro e vedi ciò che sei, ciò che puoi diventare, nudo davanti ai tuoi difetti e meravigliosamente consapevole dei tuoi pregi. Arriviamo in cima e solo a pochi metri dalla vetta si svela la grande croce del Catria, celata da un sipario di nuvole. La discesa è più bella della salita. Camminiamo sul crinale avvolti dalle nubi e mi sento vinto da un senso di trascendenza mentre procedo verso una meta invisibile. Spalanco le braccia e mi sembra di volare. Siamo a 1700 metri slm ma potremmo essere a 10000 metri di quota, librati in volo come aquile sospese fra terra e nulla. Quando ricompare il bosco siamo nuovamente avvolti dalla luce e camminiamo in mezzo ai guardiani lungo questa lingua antica tracciati dagli uomini e dalle bestie, disegnata dal calpestio di scarponi e zoccoli. Ancora prati, ancora abbeveratoi. La montagna è frequentata ed incontriamo spesso uomini e cani. Dopo la sosta al rifugio Cotaline ripartiamo ed intimoriti dalla vetta del Monte Acuto decidiamo di riguadagnare il campo base circumnavigandolo piuttosto che affrontarlo. La vetta esigerebbe un tributo che oggi non saremmo in grado di pagare. Troppo alto e troppo acuto ci imporrebbe una salita molto ripida e una discesa ancor più impegnativa. Oggi ci è bastato il Catria e decidiamo di allungare il percorso camminando in un bosco antico e fitto. Finalmente è arrivata la primavera, ovunque è verde, ovunque è verde, ovunque è pace. Alla partenza per il ritorno a casa pago il mio tradizionale tributo al Monte Catria e mi separo dal mio inseparabile cappello. Su questa montagna, qualcosa devo lasciare.
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Finalmente oggi andrò alla Seghettina. Ho visto e letto molto su questo rifugio nel cuore delle Foreste Casentinesi. Si tratta probabilmente del più remoto avamposto abitato dall'uomo, stretto fra il lago di Ridracoli e le forre boschive ed impervie di Sasso Fratino, foresta da sempre evitata, prima a causa della sua scomoda morfologia e poi per via della protezione ufficiale sancita dal Governo nel 1959. Per un rapido excursus sulla storia del nucleo rimando il lettore curioso a questo esaustivo post, nel quale apprendiamo che i primi muri vennero eretti nel XV secolo per essere poi espansi ed implementati fino alla sua epoca d'oro, quando nel 1910 vi abitarono fino a cinque famiglie raggiungendo il ragguardevole numero di 33 abitanti. Numero esiguo farà sorridere i pìù, ma si tratta di una metropoli se si impara a conoscere questo angolo occulto di foresta, isolato e difficilmente raggiungibile. I contatti della comunità con il resto del mondo erano certamente rari e complessi. Sicuramente avevano scambi ed interazione con gli altri abitanti del bosco (Campominacci, Botriali, Ciriegiolone, ecc...), ma è verosimile che scendessero a fondo valle forse una volta all'anno. Posso solo immaginare quanto potesse essere difficile la vita qui, nel grembo di madre natura, a spaccare legna sopravvivendo a stento. La vicenda de La Seghettina si ammanta di fascino da spy story quando i residenti aderiscono alla lotta partigiana e accettano di dare rifugio ad alcuni graduati dell'esercito di Suà Maestà durante i fatti della Seconda Guerra. Non ci sono mai venuto perché non è un posto nel quale recarsi da soli, soprattutto senza esserci mai stati prima. Perdersi è facile perché non esiste una sentieristica ufficiale, ma solo antichi stradelli battuti dagli animali e dagli abitanti che hanno abbandonato questi luoghi da oltre 50 anni, nuovamente affogati dalla vegetazione e solo intuibili dagli escursionisti meno pavidi. Quando Gabriele, che qui è stato in compagnia di una guida, annuncia la volontà di spingersi fino alla Seghettina, aderisco con trasporto. Quale grande onore farsi condurre da una mano tanto esperta. Mi sento come un bimbo che ricalca le orme del padre ed è con fanciullesca fede che ripongo in lui tutta la mia fiducia. Gabriele tiene saldo il bastone del comando e, armato di carta, GPS ed esperienza, guida con passo sicuro la comitiva. Con lo stesso piglio deciso dichiara di non temere il maltempo e, da vero condottiero, afferma che lui partirà anche da solo, in barba alle previsioni avverse. La sua sicurezza diventa anche la mia e la sua determinazione possiede il potere di scongiurare il maltempo: il cielo si sguarcia al suo passaggio, come già fece il mare al comando di Mosè. Le nubi si ritraggono pavide ed il sole bacia la sua ampia fronte. Mentre cammino nella sua ombra si rafforza in me la convinzione di avere riposto nella migliore delle guide la mia fiducia. Cavalca la forestale di San Paolo, indica con fierezza lo stradello per Campominacci, ci mostra l'invaso di Ridracoli come fosse la sua dimora, segnala tracce impronte di animali e ci guida con passo sicuro fino al primo guado di giornata. Qui la mia fede in lui vacilla. Gabriele infatti si ribalta nel fosso, si rialza mollo come un pulcino e dichiara: "Mi sono perso, torniamo a casa. Non ho idea di dove sia La Seghettina". Fine della storia. |
Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
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