Ogni volta che faccio un'escursione scrivo un post. I miei post non sono mai tecnici, ma piuttosto emotivi. Scrivo per fissare le mie impressioni, i sentimenti che muovono nel mio animo la montagna, gli alberi, gli animali, il fruscio delle foglie, lo scorrere dei torrenti, il silenzio del bosco. In questi giorni di forzato isolamento e lontananza da quei luoghi cari, non dovrei scrivere un post perché non metto gli scarponi da tanto e da tanto non calco sentieri. Però questa situazione folle ed insolita mi spinge comunque a riflessioni, riflessioni che non voglio perdere, sentimenti che non voglio dimenticare quando tutto sarà finito. Soprattutto oggi che non vediamo bagliori di speranza percorrendo questo tunnel buio. E allora questa mattina mi sono svegliato con una idea in testa che ho pensato di condividere: chi va in montagna queste cose le sa.
Chi va in montagna sa che la preparazione non avviene nel momento della difficoltà, ma che inizia molto tempo prima. Ci si allena, ci si muove per gradi, si affronta un percorso alla volta, un passo alla volta. Poi quando arriva il momento della fatica vera, quando arriva il momento della difficoltà o addirittura del pericolo, si può fare affidamento sulla preparazione, una preparazione che ha preceduto di molto quel momento. Lo zaino non serve soltanto per portare i panini, piuttosto è il mezzo per avere sempre a portata di mano le cose che possono risolvere una situazione e, per fortuna in rari casi, salvarti la vita. È la mancanza di preparazione che determina la differenza fra paura e serena coscienza. Ma questo chi va in montagna lo sa. Come sa anche che la conquista della cima corrisponde a metà percorso. È banale, ma ho l'impressione che in questi giorni molti non se ne rendano conto. Sento e leggo spesso di "picco della malattia". Le persone sono ossessionate da questo picco. Alcuni sperano di averlo già superato, altri dicono che è ancora molto lontano, altri azzardano previsioni su base matematica indicando quando verrà raggiunto. Ogni volta penso che si tratta di una meta tanto effimera quanto ingannevole. Per prima cosa non esistono cartine o GPS in grado di segnalare l'esatta posizione temporale di questo picco. Potremo identificarlo con chiarezza, numeri alla mano, solo molto tempo dopo averlo sorpassato. E allora, perché darsi tanta pena per identificarlo? Inoltre questo offre l'impressione ingannevole che, una volta raggiunto, ci saremo lasciati tutto alle spalle. E invece ci sarà ancora tantissima strada da fare prima di tornare a uno status di normalità sanitaria e questo chi va in montagna lo sa. Chi va in montagna sa anche che non è buona cosa camminare con gli occhi fissi alla cima, particolarmente quando manca il fiato e le gambe vacillano. Perché la mente è il nostro muscolo più potente ed è in grado di governare tutto il corpo. Se il morale è alto, il fisico è in grado di realizzare più di quanto crediamo di poter fare. Guardare la cima, soprattutto quando è così lontana da non potere essere scorta, non è mai una buona idea. È meglio camminare a testa bassa e mettere un piede avanti all'altro. Domandarsi incessantemente quando finirà tutto questo e dichiararsi insofferenti per ogni ora di isolamente a cosa giova? Cui prodest, dicevano i latini. E questo chi va in montagna lo sa. Infine chi va in montagna sa che la cima si conquista con le gambe, non con le chiacchiere. Organizzazione, silenzio, abnegazione e rispetto delle regole. È una ricetta semplice. Se manca un'ora alla cima e mi siedo su un masso per un'ora, non arrivo di certo in vetta. In queste ore sento dire con illusoria speranza che i cinesi ce l'hanno fatta, che hanno sconfitto il virus, che ci hanno messo circa tre mesi, quindi anche noi possiamo iniziare il conto alla rovescia. Ma i cinesi hanno agito, hanno attuato delle misure di contenimento serie, hanno rispettato la quarantena ed eventualmente costretto le persone a casa. Violando i decreti, trovando scuse per uscire di casa e pensando di essere al di sopra delle leggi, non si va da nessuna parte. È come rimanere fermi seduti su un sasso aspettando che sia la cima ad arrivare da noi. Ma tutto questo, chi va in montagna lo sa.
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Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
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