Oggi ho deciso di confrontarmi con un sentiero ignoto, uscendo un poco da quella zona di conforto nella quale mi sono rintanato negli ultimi anni. Mi sono accorto che sto facendo piacevoli camminate in compagnia e percorsi noti in solitaria. Oggi invece decido di spingermi un po' oltre, tornando indietro nel tempo, quando affrontavo in solitaria strade sconosciute. Ho bisogno di sbagliare, ho bisogno di perdermi, ho bisogno di confrontarmi e provare quel leggero brivido che corre lungo la schiena quando la solitudine ti costringe alla cautela massima, quando non puoi permetterti di mettere un piede in fallo perché, eventualmente, non ci saranno spalle amiche alle quali appoggiarsi. Il mio cervello cattura e cataloga ogni informazione, gli occhi sono vigili e spalancati, le orecchie attente registrano ogni singolo rumore. Sono vivo. Questa condizione mi spinge a dare il meglio di me stesso, ad usare tutti i sensi, attivando ogni muscolo e mettendo in moto ogni neurone. L'isolamento è una palestra straordinaria. Cammino nel bosco e intanto mi guardo dentro, scoprendomi e ritrovandomi. Recentemente ho sentito un esperto (termine assolutamente abusato di recente) dichiarare che l'uso dei navigatori satellitari nella viabilità ha ridotto le capacità di orientamento degli individui. In un certo senso ha atrofizzato quella parte di cervello deputata a renderci autonomi nella scelta dei percorsi e delle direzioni da prendere. Pare si stia verificando semplicemente ciò che accade ai muscoli quando ne riduciamo o cessiamo l'uso: si ridimensionano e perdono tono; in breve una semplice camminata o sollevare un peso non eccessivo possono diventare gesti quasi impossibili da compiere. Così accade con il cervello, relativamente alla capacità di orientarsi. Stiamo permettendo ad uno strumento di sostituirsi a noi, surrogando una funzione che possediamo e che non solo non dovremmo abbandonare, ma piuttosto coltivare ed esercitare regolarmente. Lo scrivo predicando bene ma razzolando male, perché anche io mi affido al GPS, tanto in auto quanto sui sentieri. A queste cose penso mentre cerco la via dopo il casale diroccato della Cella, quando smarrisco i segnavia e mi ritrovo su quello che pensavo fosse un sentiero ed invece si rivela un vicolo cieco nella foresta. Probabilmente è un canale scavato dall'acqua o un percorso battuto dal passaggio degli animali. Ancor prima del buonsenso è una voce interiore a dirmi che sono fuori strada. Poi dal fitto del bosco sale un rumore che non riesco a identificare, ma basta ad acuire i sensi. Sono vigile, sono solo, sono vivo. Il pericolo è ancora lontano, ma sento suonare delle sirene di allarme che non udivo da tempo e sono lieto di averle ascoltate ed ancor più di avere riscoperto che esistono e funzionano. Mentre salgo e raggiungo il crinale decorato di faggi, penso alla differenza che esiste fra "perdersi" e "smarrirsi". Calcando questo tappeto di foglie, protetto dall'ombra e carezzato dal vento, è inevitabile camminare e riflettere. L'atmosfera è così eterea ed irreale che il riflettere giunge istintivamente prima del camminare e mentre lascio che i piedi mi portino lungo il sentiero, mi fermo a pensare che c'è una differenza semantica e concettuale tra due termini che usiamo abitualmente come sinonimi perfettamente intercambiabili. Un caro e saggio amico mi ha insegnato che le parole hanno un valore ed un peso. Non penso che questi due termini coincidano. Trovo che lo smarrimento sia momentaneo, fortuito, casuale e comunque reversibile. Invece "perdersi" nasconde una insidia concettuale nella sua stessa etimologia. Deriva dal latino e significa "mandare in rovina". Inoltre il verbo "perdere" indica una condizione di sconfitta e rimanda un senso di inellutabilità e invariabilità della condizione. Ed anche se non per tutti questo percorso logico può avere il medesimo significato, mentre cammino in questa faggeta alta cullato da una piacevle brezza estiva, penso che nel bosco ma soprattutto nella vita, voglio accogliere con gioia lo smarrimento come momento di analisi e rinascita, ma voglio rifiutare con risolutezza la resa della perdita. Perdersi non è come smarrirsi. Accetto il momentaneo smarrimento, ma non voglio piegarmi alla sconfitta. Clicca QUI per la traccia GPS
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Massimo
Massimo è sposato con Roberta ed è padre di 2 figli. Lavora tutti i giorni al computer e nel tempo libero scappa in montagna, il suo spazio libero fra foglie e nuvole. Archives
Agosto 2020
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